Tanto ci si allarma per il potere distruttivo della finanza. Mps insegna. Ma c'è un altro esempio che illustra bene i danni provocati dalla cupidigia più ingegnosa, capace di spolpare aziende ricche e di ridurre sul lastrico loro e i loro piccoli azionisti. L'esempio è Seat Pagine Gialle, allo stremo nonostante numeri industriali ancora positivi. La finanza spericolata, basata sul patrimonio trasformato in debito, può distruggere qualunque ricchezza.
Seat Pagine Gialle è una società cresciuta in due mondi un tempo grandi e ora in declino: il telefono fisso e la carta. Pubblica gli elenchi telefonici, con i numeri dei privati e dei commerci, e su questo ha prosperato. La Seat, negli anni del monopolio, era un ramo della Stet, finanziaria pubblica della telefonia. Nel 1997 fu privatizzata dal Tesoro, il 61% andò a 4 investitori - Bc Partners, Comit, Investitori associati, De Agostini - che vi investirono 1.580 miliardi di lire (750 milioni di euro), dei quali 450 propri, il resto a debito, o meglio, «a leva». La società fu quotata. Nel 1999, la Seat staccò a favore degli azionisti un dividendo straordinario di 2.000 miliardi di lire. In più, i 4 azionisti vendettero l'11% circa per 450 miliardi di lire, fermandosi poco sopra il 50%. Un affare colossale.
Intanto montava la new economy e, con essa, la Borsa. Si creò un felice abbinamento: un manager visionario e ambizioso - Lorenzo Pellicioli - e una condizione di mercato come mai si era presentata. Mentre il vecchio business telefono-carta presidiava il suo opulento mercato, gli fu affiancata la scommessa del nuovo. Si capiva che Internet e i nuovi media avrebbero condizionato il progresso, e in questa direzione fu cavalcata la crescita. La quotazione in Borsa saliva a dismisura e Pellicioli ne utilizzò il valore come merce di scambio, con acquisizioni fatte prevalentemente carta contro carta, quasi senza contante. La Seat si ritrovò a controllare oltre 100 società.
Nel 2000 fu prima staccata una nuova supercedola di 2.200 miliardi di lire (1,1 miliardi di euro), poi la Telecom di Roberto Colaninno lanciò un'Opa da 13mila miliardi di lire, grazie alla quale l'ex monopolista telefonico acquisì la maggioranza. Lorenzo Pellicioli lasciò la Seat l'11 settembre del 2001, data passata tragicamente alla storia.
Ma Telecom durò poco; nel 2003 smembrò Seat, tenendosi «La7» e altro (l'attuale Ti Media), e vendette la maggioranza per 3,7 miliardi (quasi la metà di quanto pagato). Chi comprò? Due dei vecchi soci, Investitori associati e Bc Partners, più altri due fondi, Permira e Cvc. E cosa fanno subito i nuovi soci, confermando il modello già sperimentato? Staccano un cedolone da 3,6 miliardi, e si ripagano dell'investimento. Per loro è un affare, per la società no, caricata di 4,2 miliardi di debiti.
Il resto è storia recente. Un aumento di capitale è necessario nel 2009 (200 milioni) e Bc Partners esce dal capitale. Nel 2010 la società è oggetto di una ristrutturazione finanziaria, ma i debiti continuano a schiacciarla. Oggi ammontano a 1,3 miliardi e il peso degli interessi è insostenibile. Del titolo, che negli anni d'oro aveva superato i 7 euro, sono rimaste briciole: 11 millesimi di euro. La capitalizzazione è intorno ai 20 milioni.
Il vero paradosso è che la società macina ancora forti utili operativi, cioè la sua attività va bene: nei primi 9 mesi del 2012 ha fatturato 646 milioni ottenendo un ebitda di 270. Un risultato sbranato dai debiti, visto che il peso degli interessi porta l'utile netto a meno 20.
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