Chi lo conosce bene, racconta che Jens Weidmann ha passato gli ultimi mesi a limare alcune asprezze caratteriali, evitando di apparire come il primo della classe cui il gioco di squadra dà l'orticaria. Ma il capo della Bundesbank deve aver subito rottamato ogni buon proposito quando, nella riunione di giovedì scorso della Bce, Mario Draghi ha messo ai voti la proposta di varare un programma di acquisti di obbligazioni cartolarizzate (Abs).
Il Wall Street Journal offriva ieri un'interessante ricostruzione dell'ultimo vertice dell'Eurotower e degli antefatti che l'hanno preceduta. Pare che la Buba abbia avuto tra le mani il dossier relativo agli Abs, un pacchetto di aiuti all'economia che potrebbe pesare sui bilanci della banca centrale fino a 500 miliardi di euro, soltanto mercoledì scorso. A quel punto Weidmann, ancora in vacanza, ha preparato in tutta fretta i bagagli per rientrare a Francoforte. Il giorno dopo, la discussione con Draghi sarebbe stata aspra: non tanto sull'opportunità di ricorrere a quella particolare misura non convenzionale, quanto piuttosto sul timing adottato. I tedeschi, spalleggiati soprattutto da austriaci e olandesi, avrebbero contestato all'ex governatore di Bankitalia di voler procedere con eccessiva fretta. La proposta è però stata approvata grazie a quella che lo stesso Draghi ha poi definito una «maggioranza confortevole», garantita dall'appoggio di tutto il board con una sola defezione, quella della numero due della Buba, Sabine Lautenschläger. Il voto capitario rende ancora possibile il miracolo di mettere la Bundesbank in minoranza.
La volontà da parte di Draghi di abbandonare ogni indugio è riconducibile al deterioramento della congiuntura. I provvedimenti messi finora in campo non hanno sortito gli effetti sperati. Non a caso, la Bce ha rivisto al ribasso le stime di crescita 2014 e 2015 e anche quelle sull'inflazione per l'anno in corso. Sotto un altro profilo, dopo il discorso al meeting della Fed a Jackson Hole, per certi versi assimilabile al famoso «whatever it takes» a difesa dell'euro del 2012, il capo dell'Eurotower ha dato in pasto ai mercati quanto si aspettavano. Ma il fatto che abbia tenuto coperte le carte fino all'ultimo ha un chiaro significato politico: Draghi sapeva benissimo che avrebbe incontrato il fuoco di sbarramento dei tedeschi, non avendoli informati con adeguato preavviso delle sue intenzioni. Una reazione prevedibile, nonostante la Germania sia stata tra le principali beneficiarie del calo dell'euro, legato all'ammorbidimento della politica monetaria. Gli effetti del deprezzamento della moneta unica sono ben visibili negli oltre 100 miliardi di esportazioni tedesche in luglio, un record assoluto. Il rovescio della medaglia è che, con le importazioni cresciute di appena l'1%, il surplus commerciale è esploso fino a toccare i 23,4 miliardi. Berlino rischia così di ritrovarsi nella scomoda posizione di «imputato» all'Ecofin che si svolgerà venerdì e sabato a Milano.
È quindi verosimile che SuperMario abbia cambiato linea: dopo la spasmodica ricerca del consenso per offrire l'idea di un board coeso attorno allo stesso obiettivo, ora il messaggio, come spiega il WSJ , è che «non permetterà alla Germania di sbarrargli la strada».
Un avvertimento chiaro in vista del lancio - se sarà necessario - del quantitative easing, ovvero all'acquisto anche di titoli di Stato su larga scala. Anche a costo di esporsi alle critiche tedesche, che peraltro già non mancano: il leader della Csu, nonchè alleato di Angela Merkel, Horst Seehofer ha detto ieri che le misure di Draghi «spaventano la gente».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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