Elliott vuole i dati media e va l'attacco di Nielsen

Il fondo di Singer, già socio con l'8%, ora preme per rilevare il colosso delle ricerche di mercato

Elliott vuole i dati media e va l'attacco di Nielsen

Prima la rete, poi i dati, un binomio invincibile per un futuro sempre più digitale. Elliott fa rotta sui trend di consumo e le abitudini di acquisto di oltre cento Paesi, le ricerche di mercato e l'audience tv (comprese le trasmissioni in streaming offerte da Netflix e Amazon) dopo aver scommesso sull'evoluzione della banda larga con l'ingresso la scorsa primavera in Tim (dove ha l'8,85% e, in alleanza con la Cdp, ha conquistato il timone della governance) e poi in Vodafone su cui il fondo è dato in azione anche se non si hanno notizie precise in merito alla quota detenuta.

Il fondo attivista creato da Paul Singer ha infatti rilevato, l'8,4% di Nielsen Holdings, la società che, nel 1923, ha inventato le ricerche di mercato e che tra l'altro, in Italia, fornisce i dati ad Auditel e Audiweb. Complice il rapido cambiamento dell'universo dei media, la rivoluzione delle abitudini di acquisto dettata da internet, oltre alla conseguente trasformazione degli investimenti pubblicitari, la società da inizio anno ha perso oltre il 40% della propria capitalizzazione di mercato. Si tratta della terza peggiore performance registrata da gennaio sull'S&P500. E, con il titolo intorno a 24 dollari, assai lontano dai massimi toccati nel luglio 2016 a 55,8 dollari.

Quale è l'obiettivo di Elliott, diventato quarto azionista dietro Vanguard Group, Fidelity Management e Capital Research Global investors? A quanto sembra il rilancio, la separazione e la messa in vendita delle divisioni del gruppo. Un portavoce di Nielsen ha fatto sapere che la società e il suo cda «accolgono con favore le opinioni degli azionisti, incluso Elliott».

Gli oltre 6,5 miliardi di dollari di fatturato generati dal gruppo derivano per il 51% proprio dall'analisi di ciò che guardano i consumatori (la cosiddetta divisione «watch»), mentre per il 49% da come acquistano (l'area «buy»). A livello di redditività il segmento «watch» presenta un margine operativo lordo al 44% dei giro d'affari, mentre quello «buy» si ferma al 18 per cento. Nielsen ha annunciato a fine luglio una profonda revisione del business dei dati sui consumi e, sul fronte dell'analisi dell'audience, si è adeguata alle stelle del web per tenere il passo con le mutate esigenze dei clienti. Ma i conti non tornano. Nel secondo trimestre la società ha visto gli utili franare del 45% a 72 milioni su un giro d'affari di 858 milioni (-4,5%). Non solo la leva (il rapporto tra debito e margine operativo lordo) a fine giugno si attestava a 4,16 (in genere il punto di equilibrio è visto dagli analisti a 3). Su queste basi Nielsen ha rivisto al ribasso le proprie stime sul 2018 portando le attese di utile per azione a 0,95-1 dollari dai precedenti 1,5-1,56 dollari e i flussi di cassa a 550-575 milioni da 800 milioni.

Non è un caso che il direttore finanziario Jamere Jackson abbia dichiarato in merito «si tratta di uno dei trimestri più difficili in oltre un decennio». Un periodo ancor più complesso visto che l'ad, Mitch Barns, è in uscita a fine anno.

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