Economia

Europa senza difese contro il Dragone

Gli Stati vorrebbero un freno Ue agli investimenti cinesi ma sono troppo divisi e distanti

Europa senza difese contro il Dragone

L'obiettivo è quello di fare fronte comune per arginare l'avanzata cinese e in parte, l'espansione dei petroldollari medio orientali in attività strategiche per gli stati europei. Solo nell'ultimo anno la Cina ha investito 35 miliardi di euro nel vecchio Continente e il trend non sembra arrestarsi, nonostante i provvedimenti recentemente presi dal Dragone per ostacolare la fuga dei capitali all'estero in settori ritenuti poco in interessanti per la crescita del paese. Per questo Roma, Berlino e Parigi stanno facendo pressioni affinché Bruxelles, in tempi brevi, preveda dei limiti oggettivi e soggettivi allo shopping indiscriminato del patrimonio europeo. Ma l'attuazione potrebbe essere più complessa del previsto.

«Al momento non esiste alcun golden power europeo, non sussiste quindi una disciplina comune che tuteli gli asset industriali strategici nella Ue, anche se in dottrina spesso si è accennato a ipotetici poteri impliciti della Commissione europea, che peraltro non hanno mai trovato applicazione» spiega Aristide Police, partner di Clifford Chance Italia e professore di diritto amministrativo presso l'Università Tor Vergata di Roma. Anzi. Come si è visto nel corso di quest'ultima estate, in particolare sullo scacchiere Francia-Italia, i singoli Stati hanno idee diverse persino tra di loro sulla necessità di protezione pubblica. «La stessa clausola di reciprocità, ovvero la parità di accesso al mercato, generalmente prevista, è un tema semplice in astratto, ma non in concreto, posto che implica diversi livelli di interpretazione giuridica e reale».

Per di più l'avanzata dei Paesi terzi in Europa poggia su trattati internazionali di libero scambio sottoscritti dai singoli Stati (e non da Bruxelles) e improntati su uno scenario di liberalizzazione sempre più ampia, in decisa antitesi con le esigenze che stanno emergendo nel territorio europeo. «Una volta approvate, come si auspica, delle direttive comuni da parte della Commissione Europea che arginino il libero scambio previsto dagli accordi intenzionali in essere, i trattati dovrebbero essere rinegoziati o comunque ridiscussi», ricorda Police.

In questo contesto la definizione di una strategia comune, su cui, come confermato da Bruxelles, «si continua a lavorare», potrebbe rappresentare il passo verso questa nuova direzione protezionistica chiesta da più parti. Ma sarebbe solo l'inizio. «I nodi da affrontare sono almeno tre: il tema giuridico della struttura di regolamentazione attorno a cui ruoterebbe la nuova disciplina; l'aspetto politico ovvero la ricerca di un equilibrio tra gli interessi comuni dell'Unione e quelli dei singoli stati membri e, infine, l'ambito concreto di verifica dei margini di applicabilità degli accodi internazionali già in essere», conclude Police.

Maggiori indicazioni potrebbero arrivare il prossimo 13 settembre quando Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, pronuncerà il discorso sullo stato dell'Unione.

Ed è probabile che, anche in seguito alla richiesta dello scorso giugno da parte del Consiglio Ue di analizzare gli investimenti di Paesi terzi in settori strategici, i si cominci a parlare di iniziative concrete.

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