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Fed batte Bce nella gara per la ripresa

Fed batte Bce nella gara per la ripresa

Anche nel 2013, la Bce ha continuato a combattere la recessione come un pugile con una mano legata dietro la schiena. Proprio mentre sullo stesso ring, la Fed e le Banche centrali di Giappone e Inghilterra proseguivano a tirar cazzotti non convenzionali pur di mandare al tappeto la crisi.
Non poteva andare diversamente. Ingabbiata nel suo statuto di stampo tedesco, in cui la stabilità dei prezzi è l'unica stella polare, l'Eurotower non ha preso neppure in considerazione l'ipotesi di recitare un ruolo da prestatore di ultima istanza. Insomma: se la strada della mutualizzazione del debito era parsa fin da subito impraticabile, anche la via del quantitative easing non è stata percorsa. Tra varie alzate di sopracciglio da parte di Berlino, Mario Draghi è riuscito a varare, tra la fine del 2011 e il dicembre di quest'anno, due piani di rifinanziamento a lungo termine (Ltro), ad annunciare il bazooka dello scudo anti-spread e a pilotare i tassi al minimo storico dello 0,25%. I risultati, a parte il calo della febbre dei bond, non sono stati quelli sperati. Nessun effetto di trasmissione all'economia reale è arrivato dai 1.000 miliardi di euro prestati alle banche, così come il taglio al costo del denaro è arrivato a scoppio ritardato rispetto alla fulminea capacità d'intervento della Fed di Ben Bernanke. Nonostante tanta cautela, Draghi continua a ricevere bastonate dal numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, convinto che «una bassa inflazione non autorizza allentamenti monetari arbitrari»; anche perché lasciare troppo a lungo i tassi vicino a zero «potrebbe mettere a rischio le riforme».
Eppure, i problemi paiono ben altri. Le ultime stime della Bce collocano la ripresa nel 2014, quando il Pil crescerà dell'1,1%. Il confronto con gli Usa, attesi a un'espansione di circa il 3%, è impietoso, ma la partita è persa anche con la Gran Bretagna (+2,4%), la cui economia supererà nel 2030 la Germania (studio del Centre for economic and business research), e perfino col Giappone (+1,5%). Le massicce iniezioni di liquidità hanno portato quindi benefici, nonostante gli Usa siano ancora alle prese con un alto livello di disoccupazione e seppur i nuovi posti vengano perlopiù creati nei settori dove gli stipendi sono meno alti. Ma il 7,3% di senza-lavoro negli Usa è sempre meglio dell'oltre 12% nell'eurozona. Quanto al Giappone, l'Abenomics (1.400 miliardi di dollari) non solo ha rivitalizzato l'economia, ma ha strappato il Paese da una morsa deflazionistica pluriennale; in Inghilterra, i 375 miliardi di sterline messi sono serviti anche a ribilanciare i pesi del sistema: più produzione industriale, esportazioni e investimenti privati, meno debito pubblico e privato.
Ma ciò di cui la Bundesbank pare non accorgersi è che la Bce ha finito per perdere di vista anche il suo unico obiettivo, evitando di contrastare i sintomi di deflazione generati dall'austerity.

Innestato su un ciclo economico già reso critico dal virus dei mutui subprime, il rigore ha amplificato lo schiacciamento salariale, esacerbato la recessione e aumentato gli stock di debito. Era meglio copiare il compito degli altri: forse ora avremmo già passato l'esame della crisi.

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