L'accordo tra la Grecia e i creditori non è sufficiente. Rischia di peggiorare le cose e nel lungo termine impedirà alla Grecia di camminare sulle proprie gambe. A dirlo non è l'ex ministro greco Varoufakis in polemica con la Germania, ma il Fondo monetario internazionale. Uno dei tre grandi creditori di Atene, membro non europeo della odiatissima Troika, ha fatto trapelare i suoi dubbi su interventi che non tengano conto del debito. Non è la prima volta, ma questo è un no più pesante perché arriva quando l'accordo è stato già raggiunto e porta anche la firma del premier greco Alexis Tsipras. Per l'istituto guidato da Christine Lagarde il piano è da rifare, altrimenti l'Fmi potrebbe sfilarsi dal bailout e lasciare da soli gli europei. La tesi del Fmi è nota: la Grecia ha bisogno di una vera ristrutturazione del debito. Ieri ha spiegato il perché. Con questo piano, entro tre anni l'indebitamento di Atene arriverà a sfiorare il 200% del Pil. Impossibile, in queste condizioni, fare camminare l'economia greca con le sue gambe. «Il debito della Grecia può solo diventare sostenibile attraverso misure di ristrutturazione del debito che vadano oltre quanto l'Europa sia stata fino ad ora disposta a fare». Concretamente, il fondo di Washington non vedrebbe male un taglio del debito. Oppure, visto che questa opzione non è possibile per le regole Ue, una «notevole estensione» dei rimborsi con un «periodo di grazia» sul debito. Non i 10 anni previsti dal patto, ma altri 30.
Non è la prima volta che il Fmi esprime i suoi dubbi. Subito dopo il referendum cercò di fare cambiare strada all'Europa sul debito greco, fallendo per le pressioni della Germania. Se ieri ha insistito è perché sa di avere delle concrete possibilità di fare passare un nuovo metodo già oggi alla riunione tecnica tra i ministri delle Finanze dell'Ue.
A confermarlo ieri è stato il premier francese Manuel Valls, che ha dato per certo un «re-profiling» del debito greco. Un «trattamento equilibrato del debito è vitale per la Grecia, perché possa cominciare a pensare a un avvenire che non si limiti ai soli rimborsi».
D'accordo con l'Fmi il premier britannico David Cameron. «Il principio per il quale ci dev'essere alleggerimento del debito è giusto. È nell'interesse del Regno Unito che l'Eurozona decida in tal senso». Come dire, in ogni caso Londra non pagherà il conto, che spetta solo ai paesi dell'Euro.
Il braccio di ferro su chi dovrà pagare terzo bailout della Grecia è proseguito anche ieri. La scappatoia sulle prime misure trovata dalla Commissione europea è di limitare il «prestito ponte», ma di pagarlo comunque attraverso il meccanismo Efsm, del quale fanno parte i 28 Paesi membri dell'Ue. I non euro saranno in qualche modo rimborsati. Sette miliardi per tre mesi (il fondo ha a disposizione 13 miliardi), poi entrerà in campo l'Esm e quindi i Paesi dell'Eurozona.
In ogni caso il fondo sarà utilizzato, nonostante le resistenze del Regno Unito, Repubblica Ceca, Svezia, Danimarca, Croazia e Polonia. Il presidente della Commissione Jean Claude Juncker ha messo in agenda il via libera «entro venerdì». Avverrà per iscritto, senza bisogno che i ministri si riuniscano. Un modo per evitare tensioni.
Se la definizione dei dettagli del prestito ponte dovesse prendere più tempo del previsto, la Grecia (le cui banche resteranno chiuse anche oggi) potrebbe non potere pagare stipendi e pensioni. Il portavoce del ministro tedesco Schaeuble non ha escluso un «sistema di cambiali» per fare fronte all'emergenza. Quasi una valuta parallela.
Tra le provocazioni, quella del Juncker che ieri ha respinto le critiche all'Ue attaccando Atene. «La Grecia ha già ricevuto più finanziamenti internazionali che tutta l'Europa con il piano Marshall degli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale». Un tempo Juncker era a favore degli Eurobond.
di Antonio Signorini
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