Economia

Francoforte fa tremare le banche venete

Il capo della Vigilanza Nouy: «In alcuni casi gli istituti possono anche chiudere»

Francoforte fa tremare le banche venete

Per alcune banche della zona euro potrebbe essere necessaria la liquidazione se non ci sono altre strade praticabili per il loro salvataggio. La numero uno della Vigilanza della Bce; Daniel Nouy, ha usato il termine «unwinding» (scioglimento) nel suo intervento davanti alla Commissione economica e finanziaria del Parlamento europeo. Quanto allo smaltimento delle sofferenze, «gli elevati livelli di npl devono essere affrontati come priorità, l'approccio attendista non può proseguire», ha avvertito la francese con parole che suonano come una sferzata per l'Italia, l'unico fra i big dell'Eurozona con un fardello di crediti deteriorati, il 16% del totale, ben al di sopra della media (6,5%).

Nessun riferimento specifico a singole banche o Paesi ma il messaggio è stato chiaro. E preoccupante considerando che la Bce è chiamata a decidere se Pop Vicenza e Veneto Banca, che hanno avanzato formale richiesta per la ricapitalizzazione precauzionale (come Mps, sui cui la trattativa con l'Europa resta ancora aperta), siano solventi indicando il fabbisogno di capitale necessario per salvarle. Non è la prima volta che la francese Nouy alza così i toni: nel febbraio del 2014 aveva detto al Financial Times: «Dobbiamo accettare il fatto che alcune banche non hanno futuro. Dobbiamo lasciarle scomparire in modo ordinato, senza per forza cercare di fonderle con altri istituti». Ieri il capo della supervisione di Francoforte è partita sottolineando l'eccessiva frammentazione del sistema bancario della zona euro e si è espressa a favore di una maggiore discrezionalità da parte di Francoforte nelle decisioni su requisiti di capitale necessari. Ha inoltre accolto con favore le nuove regole proposte dalla Commissione europea sul capitale delle banche, che introducono diverse modifiche normative da concordare a livello globale. Tuttavia ha rilevato che queste regole limitano i poteri della vigilanza, soprattutto quando si tratta di fissare i requisiti di capitale.

Del resto, è stata la stessa divisione indipendente e separata rispetto alla Banca capitanata da Mario Draghi (che invece muove i fili della politica monetaria dell'area euro), ad alzare da 5 a 8,8 miliardi l'asticella del fabbisogno di Mps che ieri ha riunito il cda per fare il punto della trattativa con Francoforte in vista dell'assemblea dei soci convocata per il 12 aprile.

Nel frattempo, è scattata la corsa delle banche europee per fare scorta di liquidità all'ultimo maxi-prestito della Bce, una pioggia di soldi che ha raccolto adesioni per 233,5 miliardi, portando il totale a ben 740 miliardi, il doppio del previsto. Una provvista che aiuterà a fronteggiare i tassi attesi in rialzo, il rientro graduale del quantitative easing e le possibili turbolenze elettorali e finanziarie. Le italiane hanno fatto il pieno con circa 63 miliardi che porta la loro aggiudicazione complessiva a oltre 200 miliardi: in testa Unicredit (che ha preso 24,4 miliardi), Intesa (12 miliardi), Iccrea (9), poi Bper (4,1), Popolare di Sondrio (3,5), Banco Bpm (3,1), Ubi Banca (2,5) e Mediobanca (1,5).

E la scorta si aggiunge ai 173 miliardi lordi raccolti nelle tre precedenti operazioni.

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