Economia

I 200 miliardi della Ue e la competizione fiscale

L'Italia al bivio. Che fare con i soldi dell'Ue? Ecco tutti i rischi per il futuro

I 200 miliardi della Ue e la competizione fiscale

Ampio è stato il supporto e il compiacimento da parte del nostro Paese per i risultati raggiunti dalla negoziazione Conte nel corso dell’ultimo tour de force europeo: 200 miliardi non sono briciole a cui si aggiungeranno, forse sì forse no, i 38 miliardi del MES.

Il compiacimento non tiene conto che parte di questi soldi sono debiti, e i debiti vanno restituiti. Quindi se c’è da rallegrarsi per la possibilità di avere soldi a debito occorrerebbe d’altra parte avere anche la preoccupazione che questi soldi, forse gli ultimi visto che ci stiamo avvicinando alla soglia del 180% di debito/PIL, debbano essere necessariamente bene.

Dove “necessariamente” ovviamente è conditio sine qua non per la restituzione. O questi soldi servono per far ripartire il PIL o altrimenti si rischia la catastrofe fiscale.

Si parla di Sanità, si parla di autostrade, si parla dell’immigrazione.

Bene.

Ma se non vogliamo che il nostro Paese diventi un deserto industriale e che le PMI, che sono il cuore pulsante della nostra economia, finiscano con i libri in Tribunale occorrerebbe che ci fosse anche qualcuno lassù che parla di come rendere competitive le nostre PMI dando loro quegli strumenti che sono necessari per funzionare appieno.

L’Avv. Dott. Comm. Paolo Franzoni è esperto di fisco internazionale ed opera quotidianamente nel merger & acquisition delle PMI italiane, soprattutto quelle votate all’export, e quindi ha una visione molto concreta dei problemi che affliggono il nostro sistema industriale.

E fa un esempio eclatante avvenuto poco tempo fa …

“Mentre le commissioni tributarie, uno degli organi di giustizia forse più importanti del nostro Paese, sono in difficoltà nella gestione delle udienze – racconta l’avvocato milanese - non potendosi tenere le udienze pubbliche per causa del COVID 19 e non disponendo ancora di adeguati mezzi informatici per svolgerle da remoto, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea emette una sentenza di capitale importanza in relazione ai casi T-778/16, Irlanda v. Commissione e T-892/16, Apple Sales International and Apple Operations Europe v Commissione.

La Commissione dell’UE aveva giudicato illegittimi alcuni tax ruling conclusi dal gruppo Apple con le autorità fiscali irlandesi (del 1991 e del 2007), in buona sostanza un complesso accordo che, asseritamente, avrebbe consentito al medesimo gruppo di risparmiare 13 miliari di Euro in imposte.

I tax ruling – continua Paolo Franzoni - avevano ad oggetto la modalità con cui due filiali del gruppo Apple, costituite in Irlanda, determinavano il reddito imponibile in tale Paese in relazione alle attività commerciali ivi svolte, finalizzate a gestire una larga parte delle attività del gruppo stesso al di fuori degli USA.

Secondo la Commissione, i tax ruling avrebbero costituito un vantaggio competitivo indebito, in quanto avrebbero artificialmente ridotto la base imponibile rispetto ad altre tipologie di attività, traducendosi in definitiva in un aiuto di Stato illegittimo.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea – ricorda Paolo Franzoni - ha rigettato tale interpretazione sulla base di alcuni ordini di argomentazioni:

  • Sarebbe ingiustificata l’attribuzione alle due società controllate di alcune attività svolte da Apple al di fuori degli USA senza la prova della corrispondenza alle effettive attività delle medesime, da riscontrare mediante la c.d. analisi funzionale;

  • Non sarebbe stata dimostrata l’inadeguatezza dell’indicatore di profitto assunto dalla Commissione (i costi operativi) al fine di verificare la correttezza dei prezzi di trasferimento;

  • La Commissione non sarebbe riuscita a dimostrare che le autorità fiscali irlandesi avrebbero fatto uso, nelle circostanze date, di una ingiustificata discrezionalità.

Che lezione si può trarre, da questa vicenda, - si chiede l’Avv. Paolo Franzoni - in relazione al nostro ambiente imprenditoriale?

Le multinazionali, ed a maggior ragione i colossi come Apple, dispongono di strumenti neppure immaginabili per le PMI, pienamente soggette al carico impositivo, peraltro elevatissimo in Italia.

Se le nostre Commissioni Tributarie non funzionano, o funzionano male, conclude l’Avv. Paolo Franzoni - il già elevato livello di incertezza aumenta ulteriormente.”

E’ evidente che l’imposizione deve essere riformata, abbassandola e rendendo le norme di certa e non equivocabile interpretazione.

La giustizia tributaria deve funzionare, bene e rapidamente.

E, nel contempo, occorre che le imposte le paghino tutti, anche le multinazionali.

Altrimenti, il vulnus alla competizione individuato dalla Commissione e rigettato dalla CGUE essenzialmente per ragioni di procedura sarà sempre più ampio, lasciando alle nostre imprese solo le nicchie di mercato non occupate dai colossi.

Si tratta non solo di una questione morale, ma di una esigenza sistemica, se non si vuole trasformare il principio della libertà di iniziativa economica in un baluardo di parole privo di contenuti.

E dobbiamo ricordarcelo molto bene ora che stiamo per contrarre ulteriore nuovo debito, che come tutti i debiti, prima o poi, va restituito.

Sembra davvero l’ultimo treno per Yuma..

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