Economia

L’industria farmaceutica in un mondo che cambia

In Europa siamo secondi solo alla Germania in un settore che dagli anni ‘70 a oggi ha aumentato di 12 anni la speranza di vita. Ma le sfide non mancano

L’industria farmaceutica in un mondo che cambia

La Banca d’Italia non ha dubbi: il settore farmaceutico è un’eccellenza su cui puntare.La nostra industria farmaceutica è seconda solo alla Germania., con 26 miliardi di produzione (il 67% destinato all’export), 2,4 miliardi di investimenti (di cui 1,2 in Ricerca e Sviluppo e 1,2 in produzione) e una crescita dell’export negli ultimi 5 anni del 44% rispetto al +7% della media manifatturiera. L’industria farmaceutica non solo aumenta la durata della vita (negli anni’70 le aspettative di vita si attestavano attorno ai 72 anni, oggi sono 82) ma anche la qualità della salute con terapie innovative e con la prevenzione. Sostenere la ricerca significa allungare e migliorare la vita. E più del 90% della Ricerca e sviluppo farmaceutica in Italia è finanziata dalle imprese che generano innovazione. Di questo e di altri argomenti che riguardano il settore farmaceutico in Italia, se ne è a lungo parlato nel corso della tavola rotonda Il settore farmaceutico, tra attualità e prospettive, organizzata da Espansione.

Al dibattito, moderato da Angela Maria Scullica, direttore di Espansione, BancaFinanzae Giornale delle Assicurazioni, e coordinato dalla giornalista Chiara Osnago Gadda, hanno partecipato: Giuseppe Cristoferi, ceo di Elan International, Elinora Pisanti, hr senior director Europe di Pfizer Corporate, Alessandro Porcu, amministratore delegato di Italfarmaco Spa, Franco Gaudino, hr director di Roche Spa, Giovanni Strapazzon, hr director di Zambon Spa, Marco Masella, presidente della Scuola di Palo Alto.

Come si presenta attualmente il mercato delle aziende del settore farmaceutico?

Pisanti. Le aziende del settore farmaceutico si stanno riorganizzando, diventando sempre più flessibili, dinamiche e virtuali. In Pfizer, a valle di una revisione della strategia commerciale globale, lo scorso settembre ha iniziato un percorso di riorganizzazione aggregando e focalizzando gli investimenti e le risorse in funzione dell’evoluzione della ‘pipeline’ dei suoi prodotti e dei mercati di riferimento suddivisi tra ‘maturi’ ed ‘emergenti’. Tre sono le nuove business unit: global innovation pharma, global established pharma (prodotti che sono usciti dalla copertura brevettuale), vaccini, oncologia e consumer. E proprio in funzione della necessità di anticipare i cambiamenti del mercato è importante rendere l’organizzazione sempre più flessibile, dinamica, favorendo lo sviluppo di nuove conoscenze e abilità delle risorse, generando maggiore efficienza dei processi commerciali, finanziari e delle strutture di staff, grazie all’opportunità offerta dalle nuove tecnologie di business technology che permettono di lavorare in modo virtuale (smart working). Questa evoluzione dell’organizzazione tende a creare un’organizzazione che lavora in rete, riducendo i livelli gerarchici e facendo sentire l’Italia, così come ogni altro paese europeo, parte di una struttura globale.

Porcu. Trovo molto stimolante contribuire alla discussione con occhio particolarmente attento a come le scelte di strutture organizzative e nuovi ruoli manageriali accompagnino il profondo cambiamento in corso nella industria farmaceutica anche nelle aziende a capitale italiano. In particolare il gruppo vanta ormai da tempo una forte proiezione sull’estero con la necessità di adeguare i propri modelli di business e di corporate governance. Nei fatti la realtà imprenditoriale di successo in Italia si replica in altre geografie e mercati con conseguenti nuovi e sfidanti impegni organizzativi – gestionali: sviluppo e gestione delle proprie affiliate, verifica e controllo dei principi di buona condotta del business delle stesse e non ultimo stretta compliance agli standard industriali quali, per esempio, Gmp, Gcp, etc. La nostra azienda di proprietà privata, della famiglia De Sanctis, (il dottor Francesco De Sanctis è presidente di Italfarmaco SpA e vice presidente di Farmindustria) da tempo persegue la crescita delle proprie attività sui mercati esteri: attualmente ben oltre il 60% delle vendite del gruppo sono realizzate fuori dall’Italia. Tramite partnership e/o acquisizioni societarie Italfarmaco completa la sua presenza ormai diventata globale. Per guidare questo percorso di sviluppo è di tutta evidenza che si debba rafforzare il coordinamento da Corporate allineando valori e comportamenti manageriali tramite innovative soluzioni organizzative che soddisfino in scenari eterogenei per culture, geografie e stili manageriali, le necessità delle filiali di Italfarmaco. Non marginale resta il compito di individuare e attrarre talenti a tutti i livelli gestionali nelle diversificate competenze professionali richieste dal farmaceutico. Particolare attenzione in questo contesto richiedono paesi quali Corea, Russia, Turchia, Cile. Il focus che Italfarmaco tiene è comunque sul singolo Paese e sulla singola società controllata piuttosto che su regions geografiche.

Strapazzon. L’internazionalizzazione di Zambon è iniziata già negli anni ’50, con l’apertura del Brasile ed è proseguita negli anni successivi in tre continenti fino all’acquisizione, nel luglio dello scorso anno, di un’azienda specializzata nella fibrosi cistica in UK. Zambon è presente in tutta la filiera del farmaceutico. In questa prospettiva l’R&D è uno dei temi più forti per le aziende farmaceutiche in generale; in particolare per Zambon, che sta implementando un modello di open R&D che consiste nel ricercare opportunità congeniali al nostro portafoglio e con l’obiettivo di stringere partnership, come è avvenuto con l’entrata nell’area specialistica del Parkinson. La nostra filiera comprende anche il manufactoring, dove abbiamo investito 60 milioni per aumentare la qualità e la produttività degli stabilimenti in Italia e Svizzera. Infine, siamo presenti in 15 Paesi e 3 continenti (Europa, America latina ed Estremo Oriente) con nostre affiliate e altri 73 Paesi con accordi di distribuzione, dove Zambon è riconosciuta per le proprie competenze in ambito respiratorio, dolore, Whc e gastro. Da due anni a questa parte sviluppiamo un prodotto nel Parkinson che permetterà all’organizzazione di far emergere nuove competenze chiave nell’area specialistica dal punto di vista medico, marketing e del market access. E questo cambiamento, sta toccando anche l’organizzazione e la governance: stiamo rafforzando le funzioni corporate e sviluppando un modello a business unit.

Quali sfide dunque per le hr?

Gaudino: Ogni strategia hr efficace nasce dalla comprensione profonda delle esigenze di business delle proprie realtà e dalla capacità di anticiparne i bisogni futuri. Roche S.p.A. è la divisione farmaceutica del Gruppo Roche in Italia. Presente nel nostro Paese dal 1897, l’azienda negli anni ha indirizzato il suo impegno verso un’area estremamente specialistica e dall’elevato unmet medical need come l’oncoematologia. Prima azienda in Italia nel mercato ospedaliero e terza in quello farmaceutico, Roche è la terza affiliata per importanza in Europa. Allochiamo sistematicamente risorse sull’affiliata italiana e investimenti destinati alle attività per fare la differenza nella vita dei pazienti, come quelli a sostegno della ricerca clinica (40 milioni di euro l’anno) o del sito produttivo di Segrate (che ha determinato un aumento di oltre il 35% dei volumi in 3 anni).

L’Italia è il terzo Paese a livello di gruppo per numero di pazienti arruolati in studi clinici. Un dato importante innanzitutto per i pazienti italiani, che così possono beneficiare di terapie innovative ancora non disponibili sul mercato, e che conferma il buon livello complessivo del nostro sistema sanitario. Roche crede in questo paese, a volte però, vedendo alcune cose che accadono, mi domando se questo Paese crede in noi. Il nostro modello di business è, nella sua complessità, semplice: innovare nel campo farmaceutico, con una particolare predilezione per le biotecnologie, con l’obiettivo di offrire ai pazienti trattamenti più innovativi e rispondere così ai bisogni dei medici non ancora soddisfatti. Però fare innovazione è sempre più complesso perché se da un lato aumentano i costi di R&D, dall’altro non diminuisce il tasso di fallimento dei programmi di ricerca, anzi aumenta vista la necessità di esplorare nuove aree ancora prive di soluzioni efficaci per i pazienti. Forse non tutti sanno che dietro a ogni singola molecola Roche che arriva sul mercato ci sono in media investimenti per un miliardo di franchi svizzeri, oltre sette milioni di ore di lavoro e più di 400 ricercatori coinvolti. E spesso il fallimento sopraggiunge proprio nelle fasi finali di questo sviluppo, con conseguenze sulla stessa sostenibilità economica di un’azienda.

Il sistema sanitario nazionale sembra sempre meno disposto a pagare questa innovazione, col paradossale risultato che l’innovazione arriva con difficoltà e sempre più tardi al letto del paziente che avrebbe il diritto di beneficiarne tempestivamente. La sfida per chi gestisce le risorse umane è trovare soluzioni organizzative e di competenze del capitale umano in grado di superare in modo innovativo, creativo e ad alto valore aggiunto proprio le sfide. Roche sta aggiornando sia il suo modello organizzativo, per essere sempre più vicina e comprendere le esigenze dei nostri customer e interlocutori, la classe medica che è chiamata a valutare e ‘somministrare’ questa innovazione secondo rigidi parametri e coloro che sono chiamati a governare la spesa, sia le competenze: esistono intere professionalità che necessitano di essere aggiornate. Una professionalità storica, quella degli informatori medico – scientifici, vive oggi una sfida importante. Per questi colleghi vedo delle grandi opportunità ma solo se sapranno dimostrare la voglia e la determinazione di imparare cose nuove. Non possiamo lasciarli soli in questo percorso. È nostro dovere aiutarli e fornire loro i mezzi per vincere la sfida. Quello dell’informatore scientifico è il classico esempio di come il lavoro in sé non cambia, ma muta piuttosto il modo in cui viene fatto. Ecco quindi che il valore aggiunto che l’azienda si aspetta da queste “rinnovate” figure professionali lungo il percorso è legato alla capacità di ascolto, di comunicazione e di “empatia”, la dote di mettersi nei panni dell’interlocutore medico. Tutto questo senza dimenticare la prima grande sfida per chiunque gestisca le risorse umane in azienda e per il top management, ossia l’engagement delle persone. Gli ultimi dati su questo fondamentale indicatore della salute di un’azienda hanno premiato Roche. I colleghi hanno capito quanta cura è a essi dedicata e quanto chiaro sia il disegno che ispira questa attenzione: che li fa sentire parte di un progetto di lungo termine.

Masella. Occupandomi di un’azienda specializzata in formazione, consulenza e strumenti di valutazione, interagisco spesso con società farmaceutiche. Anni fa, un imprenditore farmaceutico mi disse: «I malati sono sempre gli stessi». Ora la situazione sta cambiando. C’è però la tendenza a ripetere percorsi già consolidati, interpretandoli in modo un po’ diverso. L’innovazione e il cambiamento richiedono uno sforzo considerevole in termini di approcci, di visione e impegno. La grande scommessa per le aziende che si occupano di formare i manager, responsabili di garantire l’innovazione e lo sviluppo delle imprese, è trovare il modo di stimolare in loro il desiderio di uscire dagli schemi classici e osare nuove vie. Quando non è una questione di competenza tecnica, ciò su cui bisogna lavorare è l’approccio, e noi lo facciamo basandoci sulla scienza dell’happyness, secondo cui occorre prima creare un processo di benessere interno alle aziende affinchè tutte le risorse possano dedicarsi con profitto ai propri compiti. Secondo una meta – analisi che ha messo insieme i risultati di oltre 200 studi scientifici svolti su circa 270mila persone, la felicità porta al successo in quasi tutti gli ambiti della nostra vita. I dati dimostrano che i lavoratori sono più “engaged”, hanno una produttività maggiore, vendono di più, sono caratterizzati da performance migliori in posizioni di leadership, sono valutati in modo più soddisfacente per le loro prestazioni. Noi crediamo veramente che la scienza dell’happiness sia la chiave di volta per attivare le persone stimolandole nel modo giusto.

Quali sono le criticità per poter evolvere?

Cristoferi. Operando nell’universo dell’head hunting, noto soprattutto difficoltà con le competenze da trovare. Come fa una corporate a guidare i cambiamenti? Per vincere la sfida gli imperativi categorici sono due: aging diversity e market access.

Strapazzon. Sul market access, assistiamo a un cambiamento fortissimo delle competenze necessarie alle aziende, è diventata una competenza indispensabile negli hq per definire le politiche di accesso al mercato, diverse nei vari paesi ma sempre più interconnesse, per preparare i global value dossier e per definire le strategie di pricing & reimbursement. Inoltre le competenze del market access sono diventate sempre più trasversali da quando interviene sin dalle prime fasi di sviluppo di un farmaco.

Porcu. Per creare valore industriale e vederselo riconosciuto dal mercato anche in aree di alta specializzazione quali oncologia o le malattie rare, è fondamentale disporre di dati che dimostrino la convenienza anche in termini di costo/efficacia dei nuovi trattamenti da introdurre nei sistemi sanitari nazionali. Figure manageriali specializzate nelle nostre aziende si occupano di seguire questo processo, il market access professional, che lavorando in stretto contatto con la funzione della ricerca prepara il contenuto del global value dossier, dove vengono raccolte le evidenze a supporto dei nuovi farmaci. Poi questa documentazione viene proposta nel processo di registrazione e di introduzione nei prontuari locali.

Strapazzon. Un’altra competenza chiave è il saper scegliere le persone giuste per ricoprire un ruolo. In questi processi un fattore chiave è la partnership con un consulente di executive search, che deve conoscere la cultura dell’azienda.

Pisanti. La funzione hr in Pfizer ha visto un’importante evoluzione negli ultimi anni. Abbiamo spostato molte delle responsabilità e attività che storicamente erano gestite dalla funzione direttamente ai manager che, in linea con la cultura Pfizer di ‘responsabilità ‘Ownit!’, devono essere capaci di gestire la selezione, lo sviluppo dei talenti, la performance e tutti i processi di gestione delle risorse tramite una piattaforma tecnologica hr. Per questo offriamo loro una formazione permanente su tutti i processi hr. In questo contesto di ‘delega’ manageriale noi della funzione hr assumiamo un nuovo ruolo di guida strategica e di supporto. Ancora una volta ciò è reso possibile dalla tecnologia nella gestione dei processi (piattaforme in rete, social networks, sharepoints, smartphones) e dal ridisegno dei processi in ottica globale pur rispettando le specificità legislative dei singoli paesi. In questo contesto di accelerazione del cambiamento lanciamo progetti per migliorare costantemente i processi e coinvolgere risorse e intelligenze da tutte le geografie dell’organizzazione. Tra i progetti recenti c’è lo sviluppo del ruolo dell’@rap, l’informatore medico scientifico che fa informazione scientifica contattando i medici utilizzando prevalentemente la videoconferenza, permettendo così di migliorare la pianificazione delle visite e di focalizzare il messaggio. Un altro ambito di competenze in forte evoluzione è denominato payer marketing: è infatti importante continuare a evidenziare alle istituzioni sanitarie il valore che portiamo ai pazienti, ma dobbiamo anche essere in grado di comprendere le logiche di chi paga (denominati ‘payers’ nel mondo anglosassone) e proporre soluzioni innovative per mettere a disposizione i nostri farmaci nel rispetto dei limiti di spesa assegnati. I mercati americano e inglese sono pionieri in tal senso. E poi c’è il tema dell’innovazione. Per promuoverla a tutti i livelli dell’organizzazione 2013 abbiamo lanciato un programma nella business unit speciality care che si chiama ‘sperimentazione disciplinata’ o ‘disciplined experimentation’ con l’obiettivo di stimolare l’organizzazione a pensare e a progettare nuovi approcci e idee nel modo in cui facciamo business. A dicembre 2013 abbiamo premiato i progetti e le idee che si sono distinti per le idee più innovative – Dare to try award – e per le sperimentazioni più creative – DE Design excellence award. Anche in questo caso abbiamo utilizzato una piattaforma web per raccogliere le idee, analizzarle con modalità ‘social’. In sintesi l’organizzazione e le competenze sono in continua evoluzione seguendo e a volte anticipando le dinamiche di mercato e il compito di hr dei nostri leader è di anticipare, facilitare e sostenere questa evoluzione.

Strapazzon. La necessità di cambiare competenze e comportamenti ha richiesto un piano specifico sui collaboratori. Abbiamo sviluppato un processo di change management che chiamiamo changing skills. Partendo dal sistema dei valori fortemente radicato nel nostro dna, abbiamo sviluppato un modello di leadership basato sulla focalizzazione delle persone, sulla collaborazione per abbattere i silos e sulla responsabilità, per creare un ambiente di lavoro che ingaggi le persone.

Gaudino. La qualità del capitale umano è, e rimane, l’elemento centrale. Per quanti sforzi facciano nello sviluppare modelli di competenze e “set” valoriali in cui ci si possa riconoscere, e che peraltro sono spesso molto simili, se non identici, da azienda ad azienda, non si può prescindere dalla qualità, nel senso più ampio del termine, delle persone. In azienda è necessario stabilire bene quali siano i comportamenti collettivi accettati e incoraggiati, definendo così, e anche attraverso l’esempio e l’emulazione, la cultura aziendale. Poi bisogna creare un ambiente in cui creatività e imprenditorialità possano esprimersi al meglio. Non sempre è facile, ci sono almeno due ostacoli, da una parte l’ossessione del controllo dei capi e, dall’altra il bisogno di sicurezza delle persone che spesso vogliono avere compiti chiari e definiti. In sintesi, una sorta di strana e improduttiva alleanza che inconsapevolmente può generarsi tra capo e collaboratore che si traduce in un gioco al ribasso che mortifica entrambi.

La divina semplicità va bene se vende, proprio come la complicazione necessaria. Abbiamo al tavolo due multinazionali e si sarebbe potuto pensare a una omogeneità delle rispettive strutture. Semmai, la differenza sarebbe stata marcata tra multinazionali da una parte e corporate italiane dall’altra. Invece, vediamo Pfizer e Roche assumere modelli organizzativi molto diversi, e le italiane affrontare problematiche simili ma molto specifiche (un esempio: il coordinamento centrale di un nuovo processo espansivo su base geografica). Nonostante i differenti e a volte opposti modelli strutturali, le competenze richieste alle risorse umane chiave sono molto simili. Con metafora calcistica, che si usi il modulo 3-4-3 o il 5-3-2, quel che conta è la qualità dei giocatori.

Gaudino. Essere in un’azienda come Roche aiuta a fare progetti, però a volte è anche un tema di attitudine. La funzione hr, per esempio, è spesso prigioniera e vittima dei processi che essa stessa mette in piedi. Perdendo di vista il motivo ultimo per cui questi processi sono stati fatti e il valore che da essi ci si attende.

Strapazzon. La qualità delle persone è fondamentale. Però, il più bravo e il più talentuoso collaboratore che portiamo in azienda non esprimerà il suo potenziale se non ha un contesto forte di collaborazione in cui lavorare.

Masella. Oltre alla professionalità dei propri collaboratori, il contesto è altrettanto importante. Ma quanto siamo disposti a misurare la qualità delle persone in modo oggettivo? E soprattutto, quanto siamo disposti ad avere il coraggio di prendere delle decisioni e agire sulla base delle valutazioni emerse? In Italia vige la cultura del garantismo, che spesso non va di pari passo con la qualità delle performance. Anche quando s’incontrano aziende con sistemi di valutazione molto strutturati, andando a fondo sui risultati si scopre che i manager li applicano tendendo a valutare le proprie risorse con un valore medio che li mette al riparo da dover intraprendere azioni “spiacevoli” o, a riconoscere nella giusta misura le persone che operano bene.

Gaudino. Nella mia esperienza le persone accettano di farsi valutare con assessment esterni se capiscono che vantaggio possono trarne. Detto questo è chiaro che l’assessment è tendenzialmente più vicino alla cultura anglosassone che alla nostra. Le persone tuttavia, hanno uno spirito pratico di quanto si pensi: se capiscono che possono usare questi strumenti a loro vantaggio, e per una propria crescita professionale, non hanno difficoltà a mettersi in gioco. Io credo che il nostro compito sia individuare i punti di forza delle persone e usarli al massimo delle loro potenzialità.

Strapazzon. Per massimizzare gli investimenti in formazione è necessario focalizzarsi sui punti di forza delle persone.

Gaudino. Nel 2012 abbiamo fatto impegnativi assessment di tre giorni con tutte le nostre risorse della Field Force. Poi abbiamo aggregato i dati e, sebbene sia stato un investimento titanico, oggi ce lo ritroviamo pronto e disponibile per farci calibrare al meglio i piani formativi e di sviluppo basati sulle reali esigenze delle persone. In ultima analisi, abbiamo uno strumento che ci indirizza nell’aiutare le nostre persone in ciò che dicevo prima: governare i punti di debolezza e far leva sui punti di forza. Questi elementi sono stati essenziali nel posizionamento di simili attività, perché il cambiamento è stato accettato come opportunità, a dimostrazione del fatto che le persone non sono spaventate dal cambiamento, sono spaventate dal non – governo del cambiamento.

Cristoferi. È dunque evidente che negli ultimi mesi c’è una forte rivoluzione guidata dal ciclo economico. Sono dinamiche di sopravvivenza. Il mondo è cambiato e, oltre alla crisi, ha influito l’avvento dell’era digitale.

Porcu.Versatilità e resilienza sono le caratteristiche ormai fondamentali per il manager del nuovo farmaceutico, dove alla competenza ed alle skills tipiche si deve aggiungere elevata rapidità decisionale e forte capacità di motivazione della propria gente.

Il ruolo esige capacità di lavoro in contesti impegnativi ormai anche dal punto di vista fisico: viaggi, fusi orari diversi, processi dematerializzati su cloud richiedono capacità di astrazione e ritorno al real world in tempi rapidissimi.

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