Lo sciopero della pubblicità per un numero indeterminato di giorni. Se ne parla, a bassa voce, tra i manager del settore automobilistico come ipotesi di azione forte verso un governo che continua a prendere sottogamba le conseguenze del crollo delle vendite sui conti delle aziende e sul fronte occupazionale.
Nessuna conferma arriva tra gli addetti ai lavori, chiusi a riccio e timorosi di esporsi in prima persona, ma l'ipotesi di organizzare qualcosa di clamoroso e capace di unire nella protesta la filiera delle quattro ruote, da monte a valle, potrebbe finire sul tavolo dell'Unrae (l'associazione dei produttori esteri che rappresenta più del 70% del mercato) nella riunione del direttivo prevista il 24 ottobre.
L'automotive, del resto, rappresenta un capitolo molto importante nei bilanci delle società editoriali, figurando tra i big spender in pubblicità, anche se la crisi ha notevolmente inciso sugli investimenti. In proposito, secondo le elaborazioni Upa sui dati Nielsen, dal picco di un miliardo di euro nel 2007 si è scesi, lo scorso anno, a circa 700 milioni per un quota, sul totale della pubblicità, del 12 per cento.
Uno sciopero, seppur simbolico e di breve durata, si farebbe senz'altro notare: per qualche giorno nessuna pubblicità sui giornali, in televisione, sui blog e al cinema. E quando, in un periodo che vede anche le aziende editoriali soffrire parecchio, si minaccia di far mancare il pane quotidiano a chi vive di pubblicità, il rumore (e non solo quello) è assicurato.
A essere toccati nel vivo, oltre ai mezzi d'informazione, sarebbero anche tutti i soggetti a monte della catena: centri media, agenzie marketing e di pubbliche relazioni, creativi, grafici, fotografi e addetti ai montaggi, eccetera. Insomma, sarebbe una mossa non priva di clamore, proprio quello che manca alla lobby dell'auto che, nonostante i discorsi di facciata, si presenta sempre divisa con le varie componenti arroccate sulle proprie posizioni a difesa dei rispettivi business. Sulla questione del superbollo, a esempio, i costruttori generalisti sembrano snobbare i problemi causati dalla gabella, introdotta dal governo Monti, ai colleghi del «premium».
La situazione, pesantissima, è stata oggetto di una lettera inviata nei giorni scorsi al ministro delle Finanze a firma, in questo caso, di tutti gli attori della filiera.
Dal 2009 a oggi il carico fiscale sulla motorizzazione ha continuato a crescere, fino a superare, nel 2012, quota 72 miliardi, pari al 17% del totale delle entrate tributarie del Paese.
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