La lezione dimenticata di Vanoni sul fisco

Nel libro di Del Debbio quel rapporto sano tra Stato e contribuente, andato perduto

di Francesco Forte

Questo libro di Paolo Del Debbio (L'etica fiscale ed economica di Ezio Vanoni, Giuffrè Francis Lefebvre pag. 224, 25 euro), giornalista e scrittore noto al grande pubblico per i suoi puntuali programmi televisivi, ma anche studioso di alto livello di filosofia etica dell'economia, con esperienze politiche rilevanti in Forza Italia sin dal 1995, quando Silvio Berlusconi scese in campo, è di grande attualità. Perché Ezio Vanoni (di cui io sono stato allievo e professore supplente a Milano) è estremamente attuale, nella nostra società liquida, in cui occorrono riferimenti a grandi figure che ce li offrono.

Il libro spazia nei due ambiti del fisco e della politica economica. Io mi soffermo sulla parte fiscale sia perché dentro c'è molta politica economica, sia perché per questa, Vanoni, il suo maggiore insegnamento lo ha dato con il sacrificio della vita. Come sottolinea Paolo (di cui sono referente economico dal 1995) Vanoni morì in Senato, nel 1956 a 53 anni, di infarto, alla fine del suo discorso sulla necessità di tenere in equilibrio il bilancio, ai fini della politica decennale di sviluppo economico del Nord e del Sud, basata sull'investimento. Aveva disobbedito al medico che diceva che far ciò sarebbe stato molto pericoloso per il suo cuore. Mentre spirava chiese perdono ai familiari dicendo «ho fatto solo il mio dovere». L'etica tributaria di Vanoni si base sul principio che le imposte hanno come causa le spese pubbliche generali. Vi è il dovere di pagarle secondo la propria capacità contributiva, quando un beneficio è indivisibile: non può o non deve essere esser diviso. Poiché lo Stato consiste delle persone che ne fanno parte, non è sopra di loro e i veri protagonisti dei doveri fiscali sono i contribuenti, in rapporto di parità col fisco. Serve la dichiarazione del contribuente per i redditi e le altre imposte: a cui il fisco deve credere sino a prova contraria, contestandola soprattutto con metodi analitici.

Il rapporto di parità con il fisco comporta i tre criteri di Adam Smith, per cui l'imposta deve esse semplice, per essere capita, senza dubbi di applicazione; certa anche nel senso di non essere retroattiva; non deve costare all'erario più che al contribuente. Vanoni aggiunge che il riferimento (costituzionale) alla capacità di contribuire pone un limite al livello della pressione fiscale e alla progressività. Il fisco deve rispettare il diritto di ognuno di godere e sviluppare i frutti del suo lavoro e della sua iniziativa e quelli della famiglia, con i connessi diritti di proprietà. È sbagliato pensare che la tassazione possa redistribuire.

A ciò servono le spese dello stato, produttive e redistributive, volte ad accrescere le opportunità di ciascuno e gli aiuti a chi non può aiutarsi da solo.

L'etica economica di Vanoni si configura nella prassi: non è ideologica, comporta conoscenze interdisciplinari, gradualismo, realismo, coerenza: c'è ne è molto bisogno.

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