La moda si conferma trainante per l'economia italiana con fatturato di 83 miliardi e un valore aggiunto (ovvero la differenza tra vendite e i costi) di 24,2 miliardi visti in crescita nei prossimi anni. Lo conferma Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo nel corso della presentazione di uno studio dedicato al settore svoltasi ieri a Milano. Non solo. Più di un terzo del valore aggiunto generato dal sistema moda nell'Unione Europea è made in Italy, cinque volte tanto la quota francese. L'esperto sottolinea poi come il primato tricolore sia evidente anche in termini di saldo commerciale in attivo per quasi 20 miliardi rispetto al disavanzo francese (-13,9 miliardi), tedesco (-19 miliardi) e inglese (-21 miliardi). Solo il Portogallo in Europa presenta una saldo commerciale attivo per 1,9 miliardi
I segnali rosei arrivano proprio a ridosso della pubblicazione di dati Istat ben poco entusiasmanti relativi alla produzione industriale italiana che, a luglio, è scesa dell'1,8% rispetto a giugno e dell'1,3% rispetto allo stesso mese del 2017, trainata al ribasso proprio dalla flessione dei beni di consumo (-1,9%). Si tratta del dato peggiore dal 2016. la moda peraltro rappresenta il 10% del valore aggiunto del comparto manifatturiero e contendendo al Food&Beverage e Tobacco il terzo posto sul podio, mentre i quasi 500mila occupati collocano il settore la secondo posto tra i datori di lavoro, subito dopo l'industria siderurgica.
A sostenere il sistema moda Italia concorrono l'amplia base di una filiera produttiva caratterizzata da qualità e affidabilità (il 78,7% della produzione è nazionale rispetto al 60,5% francese che spinge sulla delocalizzazione), oltre che della specializzazione dei distretti industriali. È infine risultato vincente la focalizzazione del comparto sull'alto di gamma. Proprio la capacità del made in Italy di posizionarsi nella fascia più elevata del rapporto qualità/prezzo ha finora preservato il settore dall'avanzata dei concorrenti asiatici. Questi ultimi tuttavia stanno erodendo quote di mercato al made in Italy e non solo. Rispetto al 2008 solo la maglieria di lusso ha migliorato le proprie posizioni all'estero, la pelletteria h difeso il 20% circa, mentre a risentire maggiormente della concorrenza del SudEst asiatico sono stati soprattutto il tessile e i filati. «Anche se le quote di mercato sono scese, il valore della produzione e dell'export è migliorato ed è atteso ancora in crescita» sostiene l'esperto che ricorda come nel primo semestre dell'anno le esportazioni si siano attestate a 25,9 miliardi in crescita del 3,5% rispetto allo stesso periodo del 2017.
In futuro, il peso delle esportazioni che dal 61,4% attuale toccheranno il 66% nel 2022, spingendo il saldo commerciale intorno ai 25 miliardi nel 2022. Per il made in Italy sarà fondamentale però concentrarsi sull'alto di gamma dove lo studio di Intesa Sanpaolo ritiene che possano esserci opportunità di crescita per 42 miliardi di dollari a livello globale entro in prossimi tre anni soprattutto in Cina, Giappone, Canada, Usa e Emirati Arabi.
In questo scenario per De Felice il fatturato del sistema moda, a prezzi costanti, salirà dell'1,5% medio annuo fino al 2022. «Il comparto concorre in modo più che proporzionale alla crescita del Pil attesa intorno all'1 per cento» conclude De Felice.
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