Quando c'è di mezzo l'Italia, l'Ocse si comporta come quei meteorologi che ricorrono alla prudenza pur di non sbagliare le previsioni. Eppure, tanta cautela spesso non basta. L'ultimo Outlook dell'organizzazione guidata da Angel Gurria è infatti una completa riscrittura - in negativo - delle stime elaborate la scorsa primavera, quando ancora veniva indicata, per quest'anno, una ripresa economica dello 0,5%. Il 2014 verrà invece di nuovo archiviato sotto il segno della recessione (-0,4, dopo il -1,9% nel 2013). Si dovrà quindi attendere il 2015 per un timido segnale di risveglio (+0,2%), mentre solo nel 2016 la crescita sarà più robusta (+1%).
Percentuali che, nella migliore delle ipotesi, impallidiscono se confrontate con i ritmi di sviluppo degli Stati Uniti, dove il terzo trimestre è stato percorso al galoppo (+3,9%, dato rivisto al rialzo dal precedente 3,5%), al punto da creare qualche inquietudine ai mercati, che ora non escludono un rialzo dei tassi più ravvicinato del previsto da parte della Fed. Un pericolo che certo non corre l'Eurozona. Temendo, semmai, un «prolungato periodo di stagnazione» e paventando «uno scenario triste», l'Ocse manda due solleciti. Il primo alla Bce, invitata a utilizzare «ulteriori misure non convenzionali» per sostenere un'economia che, a fine dicembre, riuscirà a mettere insieme una crescita non superiore allo 0,8%. E questa spinta eterodossa dovrebbe contemplare maggiori acquisti di Abs e covered bond, senza trascurare lo shopping di titoli di Stato. Insomma: un chiaro sostegno al programma di quantitative easing annunciato da Mario Draghi contro cui si è già messa di traverso la Bundesbank, lasciando prefigurare una riunione della Bce in dicembre al calor bianco. Rigidità tedesche che l'Ocse non sembra gradire. Al punto da invitare Berlino (secondo sollecito) a pigiare sul pedale della spesa, soprattutto in infrastrutture: «Se la Germania spendesse di più, tutta l'area euro ne trarrebbe benefici», ha dichiarato Catherine Mann, capo economista dell'organizzazione parigina.
La proverbiale riluttanza tedesca ad aprire i cordoni della borsa circoscrive le speranze di un rilancio della spesa al piano di investimenti europeo triennale che il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, presenterà oggi a Bruxelles. Grazie all'effetto leva, saranno messi in campo 315 miliardi. Sulla carta, però, perché il capitale di base sarà di 21 miliardi solamente, dei quali 16 provenienti dalla Commissione e 5 miliardi di assunzione di rischio dalla Bei che non si impegnerà più di tanto per non perdere la tripla A. Il moltiplicatore 15 viene ritenuto «prudenziale» dai tecnocrati di Bruxelles, certi che con il nuovo Fondo di investimenti strategici, la musica in Europa cambierà. In realtà, occorrerà vedere se gli investitori privati vorranno partecipare ai progetti infrastrutturali del Vecchio Continente (banda larga, energia, trasporti). Per il momento, l'unica a sorridere è il cancelliere Angela Merkel che ha tenuto a freno le ambizioni di grandeur dei partner, Matteo Renzi incluso.
Intanto l'Ocse batte sul tasto dolente del debito pubblico italiano, destinato a salire al 146,9% nel 2014, al 149,2% nel 2015 e al 149,7% nel 2016.
Il rapporto giudica comunque «appropriato» l'aver ritardato il consolidamento fiscale e il completamento di alcune tappe del programma di riforme. Ma non basta: resta ancora molto da fare per quanto riguarda il mercato del lavoro e il sistema fiscale, così da renderlo più favorevole alla crescita.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.