Cosa insegna la vicenda Luxottica? I fatti sono noti: il venire meno del rapporto fiduciario tra il fondatore e maggior azionista, Leonardo Del Vecchio, 79 anni, e l'amministratore delegato Andrea Guerra, 49, hanno determinato l'allontanamento di quest'ultimo dall'azienda. E la Borsa ha reagito con preoccupazione. Il rientro in gioco, in prima persona, dell'imprenditore-fondatore che decide fa pensare ad altri «grandi vecchi» dell'economia e della finanza italiana, mai usciti dal teatro aziendale. Uomini di forte carattere che, pur avendo già progettato il futuro dell'azienda, quand'è il momento si fanno sentire. E decidono.
L'esempio più immediato è Bernardo Caprotti, 89 anni, fondatore dell'Esselunga, che - al di là di manager e consulenti - continua a essere il riferimento effettivo di tutta l'azienda, dipendenti e clientela compresi; a dispetto dei figli, con in quali anzi lo scontro è pubblico e molto aspro. Anche un imprenditore come Silvio Berlusconi, 78 anni, pur avendo lasciato da vent'anni le sue aziende per dedicarsi alla politica, è rimasto il punto di riferimento ideale delle migliaia dei suoi ex dipendenti. Così è realistico pensare che Luigi Rovati, 86 anni, fondatore e padre-padrone della Rottapharm, abbia avuto l'ultima parola quando la famiglia, solo poche settimane fa, ha deciso di vendere l'azienda al gruppo svedese Meda, poco dopo aver rinunciato alla quotazione in Piazza Affari. Un altro settantasettenne dal piglio giovanile e di visioni lucide è Giovanni Arvedi, tuttora a capo del gruppo siderurgico che porta il suo nome. Mentre un ottuagenario come Giorgio Armani, ancora saldamente al potere e considerato pressoché insostituibili, sconfina addirittura nella mitologia. Altri due campioni che fino all'ultimo hanno tenuto molto stretto il bastone del comando sono stati Alberto Aleotti, scomparso in primavera a 91 anni, fondatore della Menarini, prima azienda farmaceutica italiana, ed Emilio Riva, scomparso negli stessi giorni a 88, capo indiscusso del primo gruppo di acciaio in Italia.
Che cosa accomuna imprenditori di questo livello, oltre alla terza età? Il fatto che ciascuno di loro è stato l'artefice di grandi fortune, ora affidate ad altri, figli o manager; e questo dà un tocco di carattere in più, perché il fondatore, più di qualunque erede, ha con la propria azienda e con i dipendenti un rapporto profondo, affettivo, paterno. Si potrebbero citare anche esempi stranieri (uno per tutti: lo svedese Ingvar Kamprad, 88 anni, fondatore di Ikea) o titolari di imprese più piccole, ma il concetto non cambia: là dove la prima generazione è ancora in gamba, per quanti passi indietro abbia fatto e per quante deleghe abbia rilasciato, essa resterà sempre la voce, se non del comando, della saggezza.
Il caso Luxottica, tuttavia, non deve far cadere in un equivoco: ed è questo il vero insegnamento che se ne può trarre. Non si tratta di uno dei tanti episodi di passaggio generazionale, riusciti o non riusciti; no, in questo caso si tratta di un episodio che attiene al governo d'impresa. Il passaggio generazionale si configura nella scelta dell'imprenditore di fare un passo indietro e lasciar gestire l'impresa da altri, figli o manager che siano; la governance è fatta del dialogo tra azionisti, consiglieri di amministrazione e amministratore delegato volto a stabilire le linee guida che l'ad ha il compito di seguire e realizzare. È chiaro che se tra ad, consiglieri e proprietà non c'è identità di vedute, o cessa il rapporto fiduciario, è giusto cambiare. E in ogni caso l'ultima parola, in assemblea, ce l'ha sempre la maggioranza delle azioni: nel caso specifico, Del Vecchio.
Il caso Luxottica rispecchia il normale metabolismo di un'azienda che funziona bene e che, per dimensioni, solidità e
internazionalità (capitalizza in Borsa il doppio della Fiat), deve saper sostituire un manager, figura che, per sua natura, è pro-tempore. L'importante è saper scegliere bene il nuovo manager; con Guerra, Del Vecchio aveva visto giusto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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