Il Monte dei Paschi si dirige a vele spiegate verso un nuovo corposo aumento di capitale. La relazione trimestrale pubblicata ieri ha infatti evidenziato che l'istituto di Rocca Salimbeni non sarà in grado di rispettare i requisiti patrimoniali minimi richiesti dalla Bce dopo i nuovi accantonamenti su rischi legali e a causa degli impatti regolamentari e del Covid sul capitale. La banca, si legge nel documento, ha aggiornato le proiezioni di adeguatezza patrimoniale elaborate nel contesto dell'istanza a Bce per autorizzare la scissione di 8,1 miliardi di Npl e «da tali aggiornamenti è emerso uno scenario di shortfall rispetto ai requisiti patrimoniali Srep, per il quale si stanno valutando iniziative di rafforzamento patrimoniale». In tale contesto, prosegue la relazione, il ministero dell'Economia, principale azionista con il 68% del capitale, ha garantito «il supporto patrimoniale necessario, in futuro, per garantire il rispetto dei requisiti di capitale minimi».
Il problema non è solo determinare le modalità con le quali l'aumento di capitale dovrà trovare esecuzione, ma soprattutto definire il percorso che la banca più antica del mondo deve percorrere. Il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, ha sempre ribadito che l'obiettivo è ricercare un «partner forte» che sappia preservare e valorizzare l'eredità senese. Non a caso, proprio all'indomani dell'operazione di scissione di 8 miliardi di Npl a favore di Amco e della sentenza sfavorevole agli ex vertici Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, Via XX Settembre aveva lasciato intendere all'ad Guido Bastianini (assistito da Mediobanca per le operazioni straordinarie) di essere disponibile a sostenere un aumento di capitale da 2,5 miliardi. Il ministro Gualtieri e il direttore generale del Tesoro, Alessandro Rivera, hanno fatto di più. Nell'articolato della legge di Bilancio 2021 è stato inserita una norma che incentiva le aggregazioni aziendali. Tra le varie misure previste c'è anche la possibilità di utilizzare i deferred tax asset (Dta, imposte differite; nel caso delle banche sui crediti svalutati) trasformandoli in crediti d'imposta fino al 2% del totale attivo pagando una commissione del 25% al ministero. Se la norma, come ipotizzabile, si potesse applicare al Monte, emergerebbero circa 3 miliardi di euro che, una volta ricapitalizzata, renderebbero una Mps in bonis più «digeribile» per qualsiasi acquirente. Un ruolo nel quale molti vorrebbero vedere Unicredit ove mai l'ad Jean-Pierre Mustier si lasciasse convincere a cambiare rotta rispetto al piano strategico. «Unicredit vuol farsi pagare dallo Stato i costi di un'aggregazione che produrrebbe migliaia di esuberi, contrasteremo questa macelleria sociale», si è indignato il segretario fabi, Lando Maria Sileoni.
La maggioranza, però, è divisa sul futuro del Monte.
I Cinque stelle e parte del Pd spingono perché l'istituto resti pubblico il più a lungo possibile e faccia da pivot per un polo nazionale del credito a famiglie e pmi. Ecco perché non si può escludere l'ipotesi alternativa dell'utilizzo delle Dta per l'aumento di capitale. Ieri in Borsa Mps è salito dell'1,4%.
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