«È vero il prezzo del carburante in Italia fin qui non è diminuito molto, ma la diminuzione è inevitabilmente graduale. Il greggio arrivato alle pompe non è quello acquistato oggi, ma quello comprato mesi fa, lavorato e arrivato sul mercato con il prezzo del periodo pre-Covid». Michele Marsiglia - presidente di Federpetroli spiega così in questa intervista a il Giornale la sproporzione tra il crollo del prezzo del barile e la diminuzione inferiore all'8% dei prezzi di benzina e gasolio da fine febbraio ad oggi. «Il prezzo che abbiamo visto precipitare - aggiunge Marsiglia è quello dei contratti future sul prezzo del greggio americano (Wti) mentre il Brent non ha registrato squilibri così drammatici».
Quindi, scordiamoci grandi risparmi .......
«L'industria petrolifera fa quanto può, ma ricordiamoci che il 65-69% del prezzo finale di diesel e benzina è determinato dalle accise. Su quel fronte solo lo Stato può venir incontro al consumatore».
Con questi prezzi l'Eni rischia?
«L'Eni è solida e con la riconferma di Descalzi ha vinto la lotteria. Lo dimostra l'acquisto di circa l'1,25 % del suo capitale da parte dell'Arabia Saudita. L'Eni in questi anni ha investito tantissimo in Medio Oriente e ora beneficia di investimenti e partecipazioni che si riverbereranno su tutta l'economia italiana, garantendo in futuro anche risparmi sulle bollette delle famiglie».
Quindi non dobbiamo attenderci sorprese?
«Alla base della solidità di Eni c'è la capacità d'investire soldi propri in ricerca e sfruttamento. Non operando in compartecipazione con altre compagnie petrolifere beneficia di un know how in termini di conoscenze ed esperienze assolutamente originale. Grazie a questa solidità l'unica conseguenza potrebbe essere un ridimensionamento dei dividendi e dei programmi di investimento».
Per un'Italia in costante affanno energetico la caduta dei prezzi è un bene?
«Non illudiamoci. Il vero problema dell'Italia è una strategia nazionale che blocca lo sfruttamento delle risorse che ci consentirebbero di produrre energia autonoma».
Quanto ha pesato la guerra dei prezzi Russia-Arabia?
«Le manovre saudite probabilmente hanno influito molto. L'accordo Opec della scorsa settimana prevedeva acquisti di greggio da parte degli Usa per incrementare le riserve. Ma l'amministrazione Trump non l'ha fatto. L'Arabia Saudita in questi mesi ha sfruttato costi di produzione molto bassi, tra i 3 e i 5 dollari al barile, per acquisire quote di mercato, immagazzinare greggio e mantenere la supremazia sul mercato petrolifero».
L'autosufficienza garantita agli Usa dallo shale oil è un beneficio o una trappola?
«È stata un beneficio perché fino a 10 anni fa immagazzinavano molto greggio senza sfruttarlo. Oggi appare fallimentare, ma forse c'è stata molta avidità. Nelle fasi di grande realizzo la produzione è stata così intensa che molti pozzi sono già a un livello marginale, quasi esauriti. Il tutto a fronte di una tecnica estrattiva molto costosa che consente guadagni solo con prezzi da 34-36 dollari al barile in su. Con prezzi intorno al 10 la situazione si fa, quindi, grave. Anche perché il settore è in mano a piccole compagnie che guadagnano da pozzi di piccole dimensioni».
La Cina ripartirà con energia a costo zero. Le stiamo facendo un altro regalo?
«Non le
stiamo facendo regali, ma sicuramente ci sta guadagnando e ci guadagnerà. Tra l'altro potrebbe fare grandi scorte sapendo di poterle consumare nel breve periodo grazie all'immensa richiesta energetica delle proprie aziende».
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