Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, «non esclude» un intervento «ambizioso» per una bad bank di sistema, cioè di un unico «contenitore» in cui far affluire una parte dei crediti deteriorati. Un macigno da 330 miliardi di euro circa, di cui 150 di sole sofferenze, che rischia di pesare tremendamente quando la Bce e l'Eba (l'Authority bancaria europea) cominceranno a mettere il naso nei bilanci dei nostri istituti.
Tempo per presentarsi al meglio all'esame degli stress test non ne è rimasto molto, ma l'accelerazione che Visco, in occasione del Forex di ieri, è sembrato voler imprimere al processo di sistemazione degli asset problematici e alla conseguente ripulitura dei conti, si è subito scontrata con la freddezza manifestata dalle grandi banche: «Preferiamo fare da sole», è stata la risposta.
L'impressione è che non sarà per nulla facile smaltire queste scorie tossiche. Lo stesso numero uno di Palazzo Kock ha evitato di entrare nei dettagli, limitandosi a promuovere le azioni intraprese da alcuni «volte a razionalizzare la gestione dei crediti deteriorati con la creazione di strutture dedicate in grado di aumentare l'efficienza delle procedure e la trasparenza di questi attivi». E anche sulla bad bank di sistema, uno strumento che consentirebbe di «liberare, a costi contenuti, risorse da utilizzare per il finanziamento dell'economia», il richiamo immediato di Visco è stato sulla necessità di valutarne la «compatibilità con l'ordinamento europeo». Difficile, d'altra parte, ipotizzare un intervento pubblico sulla falsariga di quello realizzato dalla Spagna con la costituzione della Sareb. In quel caso, furono i quattrini dell'Europa a salvare dal fallimento molte banche (su tutte, una Bankìa ormai al capolinea), in cambio dei vincoli stringenti di bilancio cui dovette poi assoggettarsi Madrid. L'unica opzione resta quella del piano studiato da Mediobanca, imperniato sulla fondazione di un veicolo (o più di uno) finanziato dai privati e in cui la presenza pubblica avverrebbe solo a condizioni di mercato proprio per evitare accuse di aiuti di Stato.
L'ipotesi di un contributo pubblico lascia comunque fredde tanto le grandi banche, quanto l'Abi. Soltanto Pier Francesco Saviotti, consigliere delegato del Banco Popolare, individua nella bad bank nazionale «forse una soluzione». Taglia invece corto l'ad di Unicredit, Federico Ghizzoni: gli istituti maggiori «sono in grado di gestire il problema da soli». Discorso dunque chiuso. Appena un po' più soft l'interpretazione in casa Intesa Sanpaolo. Spiega il presidente del consiglio di gestione, Gian Maria Gros Pietro: «In questo momento Visco non ha voluto indicare una soluzione preferita». La sintesi la fa il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli. «Non ci sono notizie di negoziati» per un'ipotesi di bad bank che metta insieme pubblico e privato.
L'istituto di Piazza Cordusio e la Cà de Sass, del resto, sembrano i più attivi nella ricerca di una soluzione al nodo delle sofferenze. Ma vogliono trovarla a fari spenti. Nessuno commento ufficiale ha confermato o smentito le indiscrezioni secondo cui Intesa intenderebbe costituire un veicolo dove spostare una parte degli oltre 55 miliardi di crediti deteriorati, trovando la sponda di alcuni fondi chiusi e di investitori internazionali.
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