Petrolio choc, barile in negativo: -305%

Dramma stoccaggi, trader impazziti, fuga dai future. E il prezzo crolla a -37 dollari

Petrolio choc, barile in negativo: -305%

Il crollo è stato epocale. Una picchiata dei prezzi del 305%, ghigliottinati fino a -37,63 dollari il barile, non si era mai vista prima d'ora. Per il Wti, il petrolio Usa, è stato un lunedì nerissimo, di quelli capaci di gettare ombre sinistre sulla capacità di ripresa di un mercato messo in ginocchio dalla pandemia da coronavirus. Nè il taglio di 9,7 milioni di barili al giorno annunciato dall'Opec nel format allargato a Russia e altri produttori, né la riduzione di 20 milioni di barili al giorno propagandata da Donald Trump la scorsa settimana possono nulla contro la realtà dei fatti. Il drammatico crollo della domanda, stimato da un oil trader di peso come Trafigura in 36 milioni di barili al giorno, sta facendo saltare come bulloni mal avvitati le capacità di stoccaggio del greggio. E, sotto questo profilo, l'America inizia ad avere grossi problemi. Senza pozzi con sbocchi sul mare e alle prese con una severa contrazione dei consumi di energia, gli Usa stanno riempiendo le stive del centro di accoglienza di Cushing, in Oklahoma, dove attualmente sono depositati quasi 55 milioni di barili. Con la capacità massima che è pari a 76 milioni, il punto di saturazione è ormai a un passo e potrebbe essere raggiunto entro una settimana.

Nel mondo, la situazione è più o meno la stessa. Ed è proprio questo il motivo per cui il contratto del Wti di maggio, che va in scadenza oggi, ha subìto ieri un tale tracollo: quasi nessuno può assumersi il rischio di acquistare petrolio fisico (non più, quindi, espresso da un contratto future) se non sa poi dove poterlo conservare. È il caso di enormi speculatori come i gestori dell'Eft Us Oil (Uso), con in pancia il 25% dei contratti sul Wti.

Il bagno di sangue di ieri è imputabile in buona parte alle vendite fatte da Uso sul contratto di maggio, anche per obbedire agli ordini impartiti dalla Sec di ribilanciare il portafoglio per un ammontare pari al 20% delle masse amministrate (3,8 miliardi). Un disastro anche i piccoli risparmiatori che hanno voluto entrare nella scommessa sull'oro nero: sulle spalle si sono caricati una perdita del 30%. Ma la caduta dei prezzi non riguarda solo gli Stati Uniti. Ma il fenomeno riguarda anche il Canada, dove il greggio di Edmonton, nell'Alberta, è scivolato (-3 dollari) perché i produttori sono disposti a pagare pur di liberarsi di barili che non sanno dove depositare. Lo stretto rapporto di causa ed effetto fra immagazzinamento e quotazioni è dimostrato anche dalla perdita meno drammatica del Wti di giugno (-16,3%, a 20,95 dollari) e soprattutto dal calo di quasi il 9% (a 25,68 dollari) del Brent, estratto nel Mare del Nord e quindi più facilmente stoccabile anche con l'impiego delle petroliere. Da una tale situazione di sofferenza per gli olii americani (e anche per tutte le qualità senza accesso al mare, come per esempio il greggio russo) può trarre vantaggio chi ancora ha spazio per le giacenze.

Chi ha già stoccato non vende, con l'intento di lucrare sullo spread fra il prezzo pagato oggi e quello della vendita futura, che si suppone in rialzo non appena si uscirà dal cosiddetto mercato contango, quello in cui l'offerta supera la domanda. È un disequilibrio creato non solo dal Covid-19. Gli Usa, con lo shale oil che ha di fatto azzerato le importazioni a stelle e strisce, ne sono in parte responsabili.

Alcuni analisti ritengono necessario un contenimento produttivo fra i due i tre milioni di barili al giorno per risollevare i prezzi ed evitare licenziamenti di massa ad esempio in Texas, Stato-chiave per la rielezione di Trump. Se le quotazioni non risaliranno sopra i 30 dollari entro la seconda metà dell'anno, la quasi totalità dei produttori finirà in bancarotta. Tutto dipenderà da quando usciremo da un'emergenza che sta cambiando il mondo.

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