Alitalia ha diffuso ieri una serie di dati che, a prima vista, appaiono lusinghieri: ma perde ancora quote di mercato. Nel 2018 è stata registrata una crescita del 7% dei ricavi passeggeri, e dicembre è stato il tredicesimo mese consecutivo di incremento. Quest'ultimo è stato ottenuto in tutti i segmenti di voli nazionali, internazionali e intercontinentali senza ampliamento della flotta (118 aeri): quindi c'è stato un complessivo efficientamento operativo. È migliorato il rapporto con la clientela corporate, e il secondo posto conquistato in Europa in termini di regolarità e di puntualità dimostra che la macchina aziendale funziona bene. È stato fornito anche il numero complessivo dei passeggeri trasportati lo scorso anno: 21.491.659, per la precisione, con un incremento dello 0,9% sul 2017. Resta la seconda compagnia in Italia, sempre preceduta da Raynair. In crescita anche il trasporto delle merci, con un più 9,3% su base annua.
Se Alitalia sembra andare così bene, perché continua a essere in crisi profonda, incapace di reggersi da sola e alla ricerca disperata di un progetto per sopravvivere? In realtà questi numeri mostrano una situazione parziale. Non si parla di costi, nemmeno di quello del carburante che lo scorso anno ha registrato un'impennata. I commissari Enrico Laghi, Stefano Paleari e Daniele Discepolo, che poche settimane fa ha sostituito Luigi Gubitosi hanno limato ogni eccesso di spesa, ma è incontestato che anche il 2018 chiuderà con una perdita significativa: in assenza di comunicazioni ufficiali, la stima che rimbalza negli ambienti aeronautici indica circa 500 milioni, 1,4 al giorno, comprensivi di 100 milioni di interessi sul prestito ponte e di ammortamenti straordinari. Ma anche l'ebitda, che misura il rendimento della gestione caratteristica dell'impresa, prima appunto di interessi, tasse, svalutazioni e ammortamenti, resta negativo, confermando che l'attività di volo non è economica. Se non ci fosse il prestito ponte, i libri sarebbero da tempo in tribunale. Qualcuno si chiede ancora se sarà giudicato aiuto di Stato. Ora però la priorità è dare sicurezza alla compagnia e ai suoi dipendenti affidandola a mani sicure. Le ombre stanno nelle pieghe dei numeri. Il 2018 si confronta con l'anno del commissariamento, il 2017, quando le preoccupazioni legate a un possibile default avevano indotto moltissimi passeggeri a scegliere altre compagnie e le vendite erano crollate. L'incremento quindi avrebbe dovuto esser molto più vistoso. Quel più 7% nei ricavi passeggeri è inferiore alla media di mercato, e molto inferiore del mercato è anche l'aumento dei passeggeri: il più 0,9% si confronta con il circa 6% del settore.
E questo significa che Alitalia, lungi dal rilancio, ha perso ulteriori quote di mercato, a tutto vantaggio dei concorrenti: «Era al 15,1% in Italia nel 2017, è scesa al 14% nel 2018», sottolinea Andrea Giuricin, professore di economia dei trasporti. Chi sa leggere i numeri queste cose le capisce al volo; ed è per questo che a 17 mesi dalla pubblicazione del bando di vendita Alitalia sta ancora cercando di capire il proprio destino.
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