Massimo Restelli
La miscela tecnico-finanziaria dell'acquisizione è ancora oggetto di trattativa con la Bce, ma nei palazzi della politica cresce il pressing e quindi la convinzione che Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti finiranno nella pancia di Ubi. Un'operazione di sistema fondamentale per ristorare l'immagine dell'intero settore del credito ora «riscoperto» anche in Piazza Affari. Galvanizzate dalle nozze Banco-Bpm e dal tentanto ritorno di Corrado Passera su Mps, ieri le sale operative hanno infatti concentrato gli acquisti sulle due big Intesa e Unicredit (entrambe in progresso del 2,7%), Bper (+5,12%), su Banco Popolare, Bpm (entrambe +2,5%) e appunto su Ubi (+2,33%).
Nei salotti istituzionali si dice che la banca bresciana potrebbe rompere gli indugi su Etruria & C entro 15-20 giorni. La condizione è però far combaciare le richieste dell'Eurotower con i numeri contenuti nell'«impianto d'operazione» elaborato dall'ad Victor Massiah. Il banchiere è infatti disposto a muovere unicamente se riuscirà a creare valore per i suoi azionisti: Ubi è stata la prima popolare a compiere il salto verso la spa imposto dalla riforma Renzi e quindi deve fare i conti con i fondi grandi azionisti.
Non per nulla, pochi giorni fa, lo stesso Massiah ha fissato come asticella minima per procedere un ritorno sul capitale in termini di Rote del 10%, cioè il target indicato dall'attuale piano industriale. La grande variabile è quindi se Roberto Nicastro, cui è stato affidato il rilancio delle quattro good banks, riuscirà a vendere Etruria & C davvero «ripulite» o se con ancora in pancia i 3,3 miliardi di deteriorati aggiuntivi emersi a fine giugno.
La Bce, come è accaduto per le nozze Banco-Bpm, pretende il rispetto di precisi livelli patrimoniali.
Ubi, che ha un Cet 1 dell'11,4% ed è uscita dagli Srep con il 9,25%, conta di fare ricorso a tutte le tecnicalità che ridurrebbero l'impatto sul capitale dell'eventuale acquisizione: da qui la richiesta di applicare quanto prima i propri modelli interni «avanzati» a Etruria, Marche e CariChieti (ora ferme al più dispendioso modello «standard»), e di trasporre subito a valle l'assetto della «banca unica».Dall'operazione resterebbe fuori CariFerrara, ma a Roma si spera di convincere l'ad di Cariparma (la controllata italiana della francese Credit Agricole), Giampiero Maioli a ingoiare il boccone.
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