nostro inviato a Torino
Nuove garanzie sull'impegno di Fiat in Italia nonostante la situazione di continua incertezza politica; la corsa alla fusione con Chrysler («inevitabile») che potrebbe realizzarsi entro giugno 2014, nel decimo anno della gestione del Lingotto da parte di Sergio Marchionne; la necessità, nel medio-lungo termine, di rafforzare il capitale del gruppo per pianificare con più tranquillità le future sfide. Questi i temi affrontati dai vertici del Lingotto all'assemblea degli azionisti, che si è conclusa con l'approvazione del bilancio 2012 e il rinnovo dell'autorizzazione all'acquisto di azioni proprie fino a un massimo di 1,2 miliardi.
Sulla miscela esplosiva stallo politico-crisi del mercato-investimenti Fiat in Italia, il presidente John Elkann ha voluto subito fare chiarezza: «Noi manterremo l'occupazione». E Marchionne, pur non nascondendo il timore per la mancanza di un governo a più di un mese dalle elezioni, ha ribadito che i piani del gruppo per il Paese non subiranno modifiche. «Si prosegue con i progetti già annunciati - ha affermato l'ad del Lingotto - ma spero si faccia in fretta a fare il governo. Continua a preoccuparmi l'incertezza politica che va a impattare sul costo dei finanziamenti dell'azienda: più continua più pesa, ma non c'è alcun cambiamento nei nostri piani, né prevediamo di fare modifiche». L'ad di Fiat non ha comunque sciolto il nodo sulla fabbrica torinese di Mirafiori: «Spero di farlo in poco tempo, si continua a lavorare sul progetto».
Marchionne ha spiegato che la scommessa «che intendiamo fare sull'Italia e sull'Europa (il mercato è visto in calo del 5% nel 2013, ndr)» non è «una strategia azzardata, perché muove da alcuni motivi solidi e concreti». Quattro quelli citati: «In Europa disponiamo di impianti già all'avanguardia; abbiamo in casa il prestigio e la qualità di chi, come Ferrari, ha definito l'alto di gamma in tutto il mondo; l'insieme di Fiat e Chrysler ha dato la capacità di sviluppare negli ultimi tre anni architetture che primeggeranno nel segmento premium».
Infine Marchionne ha ribadito che, grazie a Chrysler, oggi Fiat «ha una presenza globale che ci dà accesso tanto ai mercati Usa quanto a quelli asiatici, offrendo la possibilità di sfruttare parte della nostra capacità produttiva europea per le esportazioni».
E proprio l'esecuzione di questo permetterà al Lingotto di impiegare quella quota di capacità in eccesso nel mercato generalista «e di raggiungere entro il 2015-2016 - nelle intenzioni dell'ad - il pareggio di bilancio anche in Europa».
Il gruppo Fiat sta intanto studiando come rafforzare il capitale nel medio e lungo periodo (due o tre anni). E scartando l'ipotesi dell'aumento di capitale («in questo momento sarebbe una distruzione di valore»), sul tavolo resta la possibilità che sia messo sul mercato uno degli asset. In pole position, a questo proposito, si trova Magneti Marelli. Ma Fiat, all'occorrenza, potrebbe anche vendere la quota del 2,8% di Fiat Industrial che detiene in portafoglio. «È un asset che potrebbe essere liberato - ha ammesso Marchionne -: è la quota più liquida del gruppo».
«Fino a quando la situazione europea non troverà una base di certezza - ha proseguito l'amministratore delegato del gruppo - trovo che sia prudente conservare il massimo della liquidità (ammonta a 20,9 miliardi, ndr). Stiamo pagando interessi fuori dagli schemi per assicurarci la possibilità di fare operazioni industriali nel futuro. E una delle alternative è usare il cash per acquisire quote Veba di Chrysler; se dovessimo raggiungere con il fondo pensioni Usa un accordo, abbiamo la cassa disponibile per farlo».
Poco prima di ripartire per gli Stati Uniti, Marchionne ha auspicato che entro l'anno possa avere la certezza su come portare avanti il processo di fusione tra Fiat e Chrysler». E ha chiosato: «Non possono essere azionisti per sempre. Non paghiamo dividendi, non è un buon investimento. Sono stati chiari sul fatto che vogliono uscire».
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