Pronte le forbici sulle pensioni: quanto si perde sull'assegno

Al centro del dibattito tra governo e sindacati una riforma delle pensioni da inserire nella prossima legge di Bilancio. Si parla di superamento di Quota 100

Pronte le forbici sulle pensioni: quanto si perde sull'assegno

Quando si parla di pensioni, tutto si complica dannatamente. Il governo giallorosso sta lavorando a una riforma del sistema previdenziale e gli assegni, di conseguenza, potrebbero cambiare. L’esecutivo e i sindacati avrebbero dovuto incontrarsi all’inizio della scorsa settimana, ma il faccia a faccia è stato rimandato al 16 settembre prossimo per permettere ai tecnici di mettere a punto una serie di proposte. Si parla di Quota 41: andare in pensione, cioè, con 41 anni di contributi, a prescindere dal livello di anzianità. È questa l’ipotesi sulla quale si sta ragionando. La riforma previdenziale dovrebbe partire già con la prossima legge di Bilancio, ma i problemi sono dietro l’angolo.

Una cosa sembra certa: la sperimentazione di Quota 100, come ha confermato alcuni giorni fa il viceministro dell’Economia Antonio Misiani, andrà in scadenza alla fine del 2021. L’obiettivo del ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, è invece garantire una flessibilità maggiore in uscita (anche per favorire la staffetta generazionale con i giovani), ragionare sul lavoro discontinuo e affrontare il tema della pensione di garanzia per i giovani. A breve saranno istituite le due Commissioni tecniche: quella sulla valutazione della separazione della spesa sociale tra assistenza e previdenza e quella per lo studio dei lavori gravosi. Decisiva quest’ultima, per ampliare la platea dei beneficiari dell’Ape sociale.

Secondo quanto scritto da Il Messaggero, il tema centrale resta il superamento di Quota 100. Si discute su come superare, tra un anno, lo scalone di 5 anni che si formerà tra chi è riuscito ad andare a riposo con 62 anni di età e 38 di contributi (Quota 100, appunto) e chi, dal 2022, sarà costretto a restare al lavoro fino a 67 anni (Legge Fornero). I sindacati ritengono che chi ha 41 anni di contribuzione debba andare in pensione a prescindere dall’età. Oggi questa opzione è possibile solo per i lavoratori precoci che all’età di 19 anni avevano alle spalle almeno un anno di contributi versati. Su questo versante il governo non appare del tutto convinto ma, rispetto alla chiusura manifestata nei mesi scorsi, è pronto al dialogo.

I giallorossi spingono però su un’ipotesi alternativa. Vale a dire consentire a chi lo desidera l’uscita anticipata a 62-63 anni di età accettando un taglio del 2,8-3% del montante retributivo (introdotto nel 1996 dalla riforma Dini) per ogni anno che serve per raggiungere quota 67 anni. Questa riforma interesserebbe circa 150mila persone all’anno, che potrebbero così andare a riposo con 4-5 anni di anticipo rinunciando in media al 5% del trattamento che maturerebbero andando in pensione al raggiungimento degli attuali requisiti di legge.

Al centro del dibattito esistente figurano anche il superamento dell’automatismo dell’aspettativa di vita applicato ai requisiti per la pensione e la correzione degli aspetti più iniqui del sistema previdenziale.

Per i sindacati è importante sostenere la previdenza delle donne, costruire una pensione contributiva di garanzia per chi ha carriere discontinue con basse retribuzioni, tutelare il potere di acquisto dei pensionati con misure che puntano a contenere gli effetti del calo del Pil (parliamo delle rivalutazioni) e ampliare la cosiddetta quattordicesima.

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