"Pronti i fondi per le imprese Ma servono buoni progetti"

Il vicepresidente della Bei: «Li mettiamo noi. Vogliamo essere complementari e non alternativi alle banche»

"Pronti i fondi per le imprese Ma servono buoni progetti"

Mica facile di questi tempi essere una banca, di investimenti, e per giunta europea. Eppure la Bei - acronimo, appunto, di Banca Europea per gli Investimenti - è la dimostrazione di come Europa e Italia possano fare squadra. Aiutando le imprese in un momento delicato per il sistema bancario costretto, dopo la crisi, a rivedere gli schemi di erogazione del credito con un giro di vite ai «rubinetti».

I numeri li ha presentati ieri a Milano il vicepresidente (e presidente del Fondo Europeo per gli Investimenti), Dario Scannapieco: tra il 2008 e il 2018 la Bei ha erogato finanziamenti per 108 miliardi in Italia, sostenendo investimenti per 300 miliardi. Nel decennio hanno beneficiato dei fondi 289.000 imprese e sono stati creati o mantenuti 6,7 milioni di posti di lavoro.

«Il nostro è un lavoro di attrazione delle imprese e di mobilitazione di risorse. Non facciamo i burocrati, andiamo in giro per l'Italia a trovare le aziende», spiega Scannapieco al Giornale.

Sul totale degli investimenti Bei, quanti sono stati dirottati sull'Italia?

«Negli ultimi cinque anni un euro su sei di finanziamenti Bei nella Ue è andato all'Italia con il 16% del totale nel 2018, contro il 17% del 2017».

Come si finanziano le imprese considerando il nuovo scenario sullo sfondo: i cambiamenti in atto nel sistema bancario e la manovra del governo che probabilmente modificherà la legge istitutiva dei Pir, i piani individuali di risparmio?

«Sono aumentati i progetti finanziati, con investimenti più mirati e più assunzione di rischio. Cerchiamo di vedere l'impatto degli investimenti, non siamo più solo prestatori, ma partner e condividiamo i rischi e forniamo servizi di consulenza. Abbiamo bisogno di progetti validi, per questo offriamo servizi consulenza. Va sostenuto il cosiddetto non bank financing, bisogna canalizzare le risorse di investitori istituzionali verso infrastrutture, pmi e innovazione, utilizzare al meglio i fondi strutturali. Con iniziative che vanno dai fondi equity al venture capital ma che sono sempre complementari e non alternative al sistema bancario».

C'è un effetto Brexit sulla nuova finanza?

«La nuova finanza del gruppo Bei è diminuita nel 2018 rispetto all'anno precedente da 12,3 miliardi tra prestiti e garanzie nel 2017 a 8,5 miliardi, ma il calo è tecnico e temporaneo. I governi stanno studiando il rimpiazzo di capitali, siamo in una fase di transizione anche per via della Brexit. Si sta lavorando sull'accordo sul trasferimento di riserve a capitale e su una gestione prudente dei volumi e dei ratio patrimoniali considerando il limite statutario del 250% del totale degli impieghi rispetto ai mezzi propri».

Come sono i rapporti della Bei con il governo?

«Con le regioni, il ministero dello Sviluppo Economico e con quello dell'Istruzione c'è un rapporto profondo. Siamo inoltre pronti ad affiancare il governo se ce lo chiederà, spiegando quali secondo noi sono le soluzioni migliori, nella costituzione di una cabina di regia per le infrastrutture e gli investimenti. Aspettiamo un riscontro.

Servono competenze?

«In Italia è importante diffondere metodologie di valutazione dell'impatto dei progetti e il tasso di ritorno di un'opera, capire quali sono i benefici.

Questo significa che bisogna poi offrire il finanziamento adeguato con giusta allocazione dei rischi. Quello che manca in Italia non sono i fondi, ma i progetti fatti bene. Gli investimenti sono ancora troppo bassi rispetto al resto dell'Europa e questa situazione può pesare sulla competitività nel lungo termine».

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