Angela Merkel, Cancelliera tedesca: «Ho l'impressione che la Grecia abbia fatto passi indietro su alcuni punti». Il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici: «Le posizioni stanno convergendo e l'accordo è a portata di mano». Il ministro delle Finanze di Malta, Edward Scicluna: «Stiamo perdendo la pazienza con Atene». Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo: «Questa storia avrà un happy end ». Il quadretto, alquanto surreale, è quello composto con le dichiarazioni di ieri di alcuni dei protagonisti dell'interminabile saga greca.
Certo non una novità. In tutti questi mesi, l'accordo è stato più volte «a un passo», a «un soffio», «ormai in dirittura d'arrivo». Salvo poi, il giorno dopo, arrivare puntuale come una cambiale in scadenza il dietrofront. Retromarcia spesso affidata a un tweet, lo strumento che ha introdotto toni tranchant , senza sfumature di grigio. Ma l'importante non è esagerare: è apparire, strappare uno strapuntino mediatico. In una trattativa tanto delicata, dove per qualcuno è in gioco perfino la sorte dell'euro, ci può stare l'alternanza tra ottimismo e pessimismo. Ciò che non va bene è l'immagine che di sé ha dato l'Europa: quella di un corpaccione sfilacciato, incapace di parlare a una sola voce. Né la circolarità includente di chi negozia, quel ripiombare sempre al punto di partenza, cambiando le carte in tavola nonostante gli innumerevoli vertici ai massimi livelli, le estenuanti maratone notturne e gli incontri riservati tra tedeschi, francesi e greci.
Incontri dove l'Italia ha sempre brillato per assenza. Mai invitata da Merkel e Hollande ai tête-à tête con Tsipras, sempre tenuta ai margini come un parente sgradito che si ospita a cena solo nelle feste comandate. Eppure ci sarebbero stati gli argomenti per battere i pugni sul tavolo e pretendere di esserci. Siamo o non siamo tra i padri fondatori di questa Comunità piena di parametri tossici, così poco solidale e sempre più simile a un circo Barnum? Siamo o non siamo la terza potenza economica europea? E, soprattutto, non abbiamo forse messo, pro causa greca, 40 dei nostri miliardi in quel pozzo senza ritorno che è il fondo salva-Stati? Magari qualcuno avrebbe poi potuto rammentare a Berlino e Parigi che il contributo italiano ha salvato non le nostre ma le loro banche, così prodighe con i greci, allora ricchi e solvibili e oggi straccioni, quando l'euro pareva la corazza a protezione dei crediti inesigibili. Dar quattrini senza garanzie è lo sport del terzo millennio: se lo sono inventati gli americani con i mutui subprime. Un disastro. Rimediato con i quattrini dei contribuenti. Facile riempirsi la bocca di liberismo se poi, nell'emergenza, a pagare sono i contribuenti con la solita logica statalista.
Ma davanti al dossier Grecia, il solitamente logorroico e cinguettante Matteo Renzi si è quasi ammutolito. Profilo bassissimo, forse per non urtare certe suscettibilità. Il Financial Times azzardava ieri che la Grecia è solo la cortina fumogena che copre i guai ben più grossi di Italia e Francia, le due too big to fail . Forse. Oggi il nostro debito è pari al 136% del Pil.
Nel 2011, alla caduta del governo Berlusconi, era al 120%. La disoccupazione è passata dal 9 al 13%. Stiamo peggio. Eppure lo spread è su livelli ridicoli. Certo, grazie alla Bce. Ma non è - anche - che i fondamentali economici ormai contano come il due di picche?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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