«Senza governo piano Fiat a rischio»

«Senza governo piano Fiat a rischio»

Gli stabilimenti Fiat di Mirafiori e Cassino attendono ancora che Sergio Marchionne dia il via libera agli investimenti previsti, condizione indispensabile per far partire i nuovi modelli: a Torino, l'alto di gamma Alfa Romeo; nel Frusinate, quelli a marchio Chrysler (e tra questi, probabilmente, la compatta «100»).
Mirafiori e Cassino, definite le mission di Pomigliano, Melfi e Grugliasco, sono gli ultimi due tasselli del mosaico produttivo italiano. I vertici del Lingotto hanno dato ampie rassicurazioni, ma l'instabilità in cui il Paese potrebbe cadere in assenza di un governo stabile, non fa dormire sonni tranquilli. I sindacati (Fiom esclusa), che pochi giorni fa hanno siglato l'accordo sugli aumenti salariali in casa Fiat, sono consapevoli del problema. In particolare, Raffaele Bonanni, leader della Cisl, al quale il Giornale ha rivolto alcune domande.
Segretario Bonanni, su Mirafiori e Cassino è calato il silenzio. Preoccupato?
«Per l'auto, in questo momento, un problema è evidente: si chiama mercato. In Europa la situazione è drammatica, mentre negli altri mercati si viaggia a ritmi diversi. Non dimentichiamo, però, che Renault ha bloccato gli stipendi, Peugeot ha deciso di chiudere una fabbrica alle porte di Parigi, e in difficoltà sono anche Ford e General Motors».
Quindi?
«In Italia la Fiat non ha, per ora, non ha seguito l'esempio di questi altri costruttori, e con noi ha appena rinnovato il contratto per i suoi dipendenti. Vero è, però, che con un mercato del genere il tema degli investimenti può diventare preoccupante. E se a questo aggiungiamo l'attuale scenario politico, caratterizzato da un'ingovernabilità così marcata e dal rafforzamanto dei sentimenti anti europeisti - l'Italia è uno dei quattro garanti dell'Unione europea, non scordiamolo - comprendo quello che spesso lascia intendere il dottor Marchionne...».
Allora, lo spettro del disimpegno per «cause di forze maggiore» incombe sempre?
«Noi lavoreremo con tutte le forze perché ciò non avvenga. Capisco, però, nello specifico, che chi presta i soldi e mette capitali a disposizione, si aspetta che l'investimento sia remunerativo...».
Mettiamo che a Roma trovino un'intesa per la formazione di un governo; a quel punto quanto tempo date a Marchionne per fare chiarezza su Mirafiori e Cassino?
«Mirafiori deve avere una risposta immediata. È infatti l'opificio che vede i propri lavoratori impegnati a rilento, a differenza di Grugliasco e, soprattutto, di Pomigliano d'Arco dove le linee sono più attive di prima. Da Mirafiori ci aspettiamo l'alto di gamma di Alfa Romeo capace di soddisfare le richieste dei mercati nord e sudamercani, e di quelli asiatici. C'è la reale possibilità che il gruppo Fiat riesca a sfondare con le produzioni “made in Italy”, sfruttando in questo modo le incredibili opportunità offerte da marchi di prestigio».
Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, è sempre più sul piede di guerra. Non crede nei piani Fiat per l'Italia e continua a essere in polemica con voi e gli altri sindacati.
«Non mi straccio le vesti. Landini rappresenta una cultura dello sviluppo dei salari e dell'occupazione “a prescindere”; io, invece, rappresento quella cultura sociale consapevole che sviluppo, occupazione e ottimi salari, che vogliamo, arrivino solamente da condizioni di solidità economica. Ecco perché noi lavoriamo per migliorare le condizioni in fabbrica. Loro, invece, contestano tutto e rivendicano tutto “a prescindere”».
Che cosa si aspetta dalla fusione tra Fiat e Chrysler?
«Che arriverà qualcosa di buono. Non cambierà nulla. Fiat, un tempo, aveva una testa a Torino e l'altra in Brasile, a Belo Horizonte. Ora ha una testa un più, a Detroit. Il gruppo è diventato una multinazionale e riuscirà a navigare meglio nelle acque sempre più perigiosie del mercato».


E gli altri?
«Resisteranno solo le aziende che faranno, delle economie di scala e della rete commerciale, i loro punti di forza. E il Lingotto è avanti in questo. Sa perché i tedeschi vincono sempre? Non perché fanno meglio degli italiani, ma perché si sono mossi bene in passato, costruendo una rete fortissima e diffusissima».

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