Economia

Sol calante: Tokio è in recessione

Il premier Abe verso le dimissioni, voto anticipato in vista. Draghi insiste: "Se necessario, la Bce comprerà bond sovrani"

Sol calante: Tokio è in recessione

Sol calante sull'economia giapponese e sul regno del premier Shinzo Abe, sul punto di firmare la lettera di dimissioni che spalanca le porte alle elezioni anticipate, con ogni probabilità il 14 dicembre. L'uomo forte, il samurai che a colpi di stimoli monetari doveva traghettare il Paese verso una crescita da anni ruggenti e lontano dalle secche della deflazione, è spalle al muro. A inchiodarlo un solo dato, quello che certifica il nuovo scivolamento del Giappone in recessione: nel terzo trimestre il Pil è calato dello 0,4% (-1,6% su base annua) dopo la contrazione dell'1,9% accusata nel secondo. Un bilancio semestrale da brivido (-2,3%), accolto dalla Borsa di Tokio con un cedimento secco del 3%.

Il governo si prepara ad annunciare, oggi, misure di contrasto alla crisi che dovrebbero seguire un doppio binario: un budget supplementare di circa 3mila miliardi di yen (quasi 21 miliardi di euro) per la ripresa; il congelamento dell'aumento dell'Iva al 10%, previsto per ottobre del 2015. I consumi stagnanti, resi deboli dal rincaro dal 5 all'8% subìto dalla tassa sugli acquisti dallo scorso aprile, sono considerati il vero tallone d'Achille dell'economia (-0,9% la domanda privata fra luglio e settembre). A non quadrare, però, ci sono anche gli investimenti privati (-6,7%) e quelli delle imprese (-0,2%). Due segnali eloquenti di incertezza e sfiducia. Il motore non gira, anche se il ministro dell'Economia, Akira Amari, ha difeso l'Abenomics: «Non è un fallimento. Il ciclo positivo dell'economia continua e non possiamo semplicemente riassumere questi dati con la parola recessione». Le cifre degli ultimi sei mesi raccontare un'altra storia, quella di una debolezza strutturale che affonda probabilmente le proprie radici in un'economia - anzi, in un'intera società - ormai matura, se non addirittura in declino.

D'altra parte, Abe doveva avere da tempo il sentore di una spinta alla crescita in esaurimento. A fine ottobre, il leader nipponico aveva annunciato - tra lo scontento dell'ala dura della Bank of Japan, ma tra il tripudio delle Borse mondiali - l'ennesimo round di aiuti, con la dilatazione da 60-70mila miliardi di yen a 80mila miliardi degli acquisti di titoli pubblici e privati. Non solo: la prudenziale politica di asset allocation del Gpif, il colossale fondo pensione del Giappone (1.100 miliardi di dollari la potenza di fuoco), veniva dirottata sull'azionario, destinato a pesare per il 50% sull'intero portafoglio.

Ma se il Paese è in recessione dopo il fiume di miliardi già pompato nel sistema, c'è il sospetto che ulteriori politiche di quantitative easing non faranno il miracolo.

Forse, quindi, fa bene la Bce a muoversi con maggiore cautela, anche se Mario Draghi ha comunque ribadito ieri, davanti all'Europarlamento, che c'è anche «l'acquisto di bond sovrani» tra le nuove misure non convenzionali che potrebbe prendere se la situazione peggiorasse. Nonostante la ferma opposizione della Bundesbank, il numero uno dell'istituto di Francoforte resta quindi convinto che il Qe non travalichi le regole statutarie. Le Borse ne hanno preso atto, ignorando completamente la crisi giapponese (Milano ha chiuso a +1,33%). Draghi ha anche rinnovato l'invito ai governi a procedere con le riforme, perché una loro implementazione «insufficiente» pone un «rischio grave» su una ripresa sulla quale, tra l'altro, pesa l'aggiustamento dei conti oltre che l'elevata disoccupazione e la capacità produttiva inutilizzata.

«Potremmo pensare a un sistema di governance comune per le riforme - ha concluso Draghi - anche a un'istituzione comune, ma qui mi fermo perché esula dal mio mandato parlare di ulteriori passi in questa direzione».

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