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La strage degli invisibili Snobbata la crisi dei piccoli

La crisi delle piccole e medie imprese viene snobbata. 12mila imprese devono dichiarare il fallimento. Chiudono 50mila aziende agricole. Il televoto degli imprenditori: "Nel 2012 il Pil non crescerà" E Passera sfida i furbetti: "Ora sanzioni sociali per chi non paga le tasse"

La strage degli invisibili Snobbata la crisi dei piccoli
Circa 12mila imprese invisi­bi­li sono fallite l’anno scor­so. Lo dice l’ottima Cgia di Mestre.Sempre l’anno scorso,se­condo la Coldiretti, hanno chiuso i battenti 50mila imprese agrico­le. Mal contati sono 100mila posti di lavoro che si sono volatilizzati. Sono tutti figli di un Dio minore. Valgono due volte il numero dei di­pendenti Fiat. Eppure non sono lo­ro a riempire le piazze televisive. Non sono loro a innescare dibatti­ti sociologici. Non è per loro che si modifica l’articolo 18. Non sono loro che vogliono più tasse. Non sono loro che consi­derano i propri dipendenti dei nemici da sfruttare.

Sono invisibili e soli. Chiudono e sof­frono senza un alito di indignazione. Qualche volta viene un’improvvisa vo­glia di occuparsene quando si danno fuoco, si impiccano, si sparano alle tempie.Ma la rottura della tela dell’in­differenza viene subito accomodata, quasi si avesse paura di fare i conti con ciò che siamo.

L’Italia ha vergogna dei suoi invisibi­li. L’Italia disprezza e non capisce chi è fuori dal cliche padrone-dipendente. Chiudono i battenti senza che nessu­no dica nulla. E loro stessi non urlano a nessuno il proprio disagio. Lo confina­no nei drammi di piccole storie fami­liari, nel chiuso delle mura domesti­che. Perdono il lavoro e un sogno di in­dipendenza e vedono gli intellettuali che parlano del disagio operaio, dei cassintegrati. Loro che sono gli operai del nostro successo a cui non è stato fornito alcun ammortizzatore sociale. Loro sono i rifiuti del politicamente corretto che per anni ha sostenuto la loro incapacità di fare sistema, di fare ricerca, di creare ricchezza. Si è visto dove sono finiti gli altri. Ma non si vede e non si sente dove finiscono i nostri centomila piccoli imprenditori e colla­boratori che dall’oggi al domani non si trovano in tasca più nulla.

Si ammazzano perché non hanno neanche un nemico preciso da odiare. La banca che non gli concede il presti­to, lo Stato che gli impone obblighi, le grandi imprese che non li pagano, i funzionari pubblici che li considera­no un numero, sono il nemico. Sono sommersi, sopraffatti dal «sistema». Si muore a causa del sistema. Non c’è un obiettivo preciso da combattere; c’è un sistema che ti ammazza. Sono soli, isolati, ma sono tanti.

Commercianti, artigiani, piccoli im­prenditori del settore manifatturiero, partite Iva dei servizi, agricoltori, edili sono distrutti dalla crisi economica. Sono i precari della nostra società a cui però non è attribuito alcun merito e alcuna riconoscenza. Sono impren­ditori e dunque per definizione ricchi e sfruttatori. Escono le statistiche sui redditi dei lavoratori dipendenti che superano quelli degli indipendenti. E tutti a gridare sull’ingiustizia di una fo­to che denuncerebbe la diffusa evasio­ne fiscale della nostra società. Nessu­no che laicamente ragioni, che com­prenda la difficoltà, anche economi­ca, di fare impresa in Italia. Tutti ubria­cati dal racconto di un mercato fatto so­lo di contrapposizione di interessi, di buoni e cattivi.

Non ci si rende conto di quanto sia difficile per circa sei milio­ni di piccole imprese comprarsi un la­voro: quello che si fa ogni mattina quando si alza la serranda della pro­pria attività o si accende una macchi­na nella propria bottega.

E la politica è lontana, lontanissima. Imprigionata in quella tenaglia del consenso per cui il grido di mille picco­li che saltano è solo fastidioso rumore.

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