Economia

Tobin tax, l’imposta cretina che fa solo danni

La zuppa oggi è piuttosto pessimi­sta. Ci tocca parlare di una tassa non solo assurda, ma decisamen­te cretina. La cosidetta Tobin tax. Che l’italico genio (per le imposte)ha voluto introdurre e anticipare all’inizio del 2013. Come spesso accade le buone in­tenzioni sono quelle che ci fanno com­mettere i delitti più efferati. E la buona intenzione sarebbe quella di riportare a cuccia la finanza cattiva e speculatrice. La zuppa ha sentito un po’ di operatori finanziari, che hanno preteso l’anoni­mato. Si sa, non sono proprio dei cuor di leone. Ma sparano a zero sulla nuova ga­bella. E fino a qua, poche novità. A chi piace una nuova tassa? Il punto è che i nostri, pochi, operatori finanziari che trattano sulla borsa italiana, dicono tut­ti che non pagheranno un euro in più di tasse. Zero, virgola zero. Il meccanismo è semplice. L’imposta sulle transazioni verrà ribaltata sul consumatore finale, oppure, per pacchetti di titoli più consi­stenti, le operazioni verranno fatte su mercati terzi. Ma c’è di più. La Borsa italiana, di fat­to proprietà di quella inglese, redige un bilancio per le sue attività milanesi. Nel 2011 ha pagato imposte per poco più di 100 milioni di euro. E anche il 2012 non sembra andare male, per il mercato e per il fisco. Nel primo semestre sono sta­te pagate tasse per più di 50 milioni di eu­ro. Tecnicamente l’utile di Piazza Affari è difficile da dividere tra le diverse attivi­tà che fa. Ma è ragionevole pensare, e i nostri amici della Borsa ce l’hanno con­fessato, che una gran parte degli utili, la Borsa li fa sul differerenziale di interessi che riesce a lucrare grazie ai depositi per le operazioni di mercato. Lasciamo perdere le tecnicalità. Giova al nostro ra­gionamento solo ricordare che più tas­se sulle transazioni italiane si traduco­no in meno scambi domestici, meno de­positi, meno incassi per lo Stato. Ma non certo per la Borsa italiana. E ci soc­corre il nostro ex agente di cambio. «Se dovessi ricevere un ordine da un tede­sco, o da un inglese per l’acquisto di un grosso pacchetto di Generali (per fare un esempio), mai più mi sognerei di far­lo transitare per il mercato italiano. Lo farei passare per il mio ufficio di Lon­dra. E poi non devo andare lontano. Gra­zie­alla legge oggi si possono trattare tito­li italiani anche su altri mercati.
E il grup­po Borsa Italiana-Lse ha la proprietà della piattaforma Turquoise che è basa­ta in Lussemburgo. Senza colpo ferire faccio il mio scambio, e non applico al­cuna tassa sulla transazione ». Tutti feli­ci e contenti. Forse meno i dipendenti italiani del nostro operatore, che perde­ranno il loro posticino o, se fortunati, verranno collocati all’estero.
Ovviamente una frazione degli scam­bi, quelli al dettaglio, sarà pizzicata. Ma visto il passaggio dei grandi blocchi su piattaforme e mercati alternativi, gli scambi italiani saranno ridicoli, ancora più bassi di quelli odierni. Poco impor­ta il primato. Ciò che però conta per un risparmiatore è la liquidità di un merca­to, il suo spessore. Ridurre la Borsa It­a­liana ancora più residuale complicherà la vita ai cassettisti e ai day trader (che non sono dei delinquenti, come qualcu­no li vuole dipingere). Oltre alla gabella, dovranno sopportare un mercato illi­quido, dove vendere rischia di essere più costoso di comprare, o viceversa a seconda delle tendenze. 

ps Nella zuppa della settimana scorsa abbiamo citato un pezzo del Sole24ore attribuendolo ad Antonella Olivieri. Era di Alberto Orioli.

Ce ne scusiamo.

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