Veneto Banca a «rischio massimo»

L'adesione dei piccoli soci e la Brexit rendono l'operazione più difficile del previsto. Ad Atlante tutti i poteri

Camilla Conti

«Chiedete ad Atlante». È la risposta che si riceve più spesso in queste settimane da quando il fondo capitanato da Alessandro Penati ha iniziato la sua missione a Nordest. Ovvero: evitare il disastro di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, leggasi bail in, puntellare e poi fondere. Magari insieme, è lo scenario più gettonato nella comunità finanziaria, guardando in un secondo momento anche all'annessione di Ubi. Di certo, un matrimonio nel caso di Veneto Banca è «ineluttabile», ha detto ieri il direttore generale Cristiano Carrus, apparso molto teso durante la conferenza stampa che ha accompagnato il roadshow milanese dell'operazione Serenissima.

Ma se sulla Vicenza la missione è stata quasi compiuta con la presa del controllo assoluto della banca e l'imminente riassetto al vertice (in cda non resterà nemmeno un vicentino), l'operazione Veneto Banca è forse più complicata. Nonostante l'ottimismo espresso fino a un mese fa dai vertici di Intesa, solitamente assai prudenti, alla fine è stato replicato il copione già visto a Vicenza con Unicredit e Atlante ha aperto il paracadute.

Ieri la ricapitalizzazione è stata definita «a massimo rischio» dallo stesso Carrus. «Ma resta il sacrosanto diritto per i soci di poter sottoscrivere l'aumento di capitale come previsto dal codice civile», ha aggiunto il manager. A differenza dei vicentini, Veneto Banca ha infatti deciso di concedere ai soci attuali il diritto di opzione per sottoscrivere le nuove azioni. Stavolta però, a differenza dell'era Consoli, dovranno farlo senza i soldi prestati dalla banca: «Chi vuole partecipare lo decide spontaneamente, senza essere sollecitato». Ma spunta un paradosso: Atlante è subentrato al consorzio di garanzia guidato da Intesa a condizione di possedere almeno il 50,1% dell'istituto veneto. Se i soci attuali sottoscriveranno più del 50% il fondo quindi si tirerà indietro e, poiché il consorzio di garanzia iniziale capitanato da Intesa (attraverso Imi) si è trasformato nel frattempo in un consorzio di collocamento, l'operazione rischia di finire senza rete. Lo stesso potrebbe accadere in caso di Brexit, perché a pagina 7 del prospetto si legge che Atlante ha la facoltà di recedere dal contratto di garanzia se il referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea. La rischiosità dell'aumento di Montebelluna preoccupa anche la Borsa: dopo due giorni di rialzi ieri il Banco Popolare, esso stesso sotto aumento di capitale, ha ceduto il 3% e i diritti il 6,6%. Negativo tutto il comparto, con il paniere italiano in calo del 2,3% a fronte di un -1,3% di quello europeo. Unicredit, che oggi riunirà il cda per fare il punto sul successore dell'ad Federico Ghizzoni, ha lasciato sul terreno il 4,6% a quota 2,55 e ribassi superiori al 3% sono stati registrati anche da Ubi e Bper.

Intanto, Atlante dovrebbe incassare circa 30 milioni di euro dal salvataggio di Veneto Banca. Secondo ricostruzioni dell'agenzia Ansa, il fondo di Quaestio Sgr ha ottenuto il 50% dei 60,5 milioni di commissioni previste per l'operazione. Considerata anche la Vicenza, costata altri 60 milioni, e ipotizzando le stesse condizioni, nelle tasche di Atlante andranno almeno 60 milioni. Si tratta di un importante balzo dei ricavi, se si pensa che nel 2015 il monte commissioni di Quaestio è stato pari a 11 milioni a fronte di un utile di 3 milioni. Nessuna conferma da Carrus che ieri ha definito la cifra «undisclosable».

Ovvero non divulgabile. Atlante, dal canto suo, ha fatto sapere che comunicherà il dato esatto delle commissioni percepite sia per Vicenza che per Veneto Banca alla fine dell'Ipo di Montebelluna. E che a Quaestio non andrà un solo euro.

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