Egisto Corradi, il re degli inviati

Sui fatti di guerra, e non soltanto di guerra, cui aveva partecipato, Corradi era la Corte di Cassazione. Lo sapevano e lo riconoscevano tutti i giornalisti di tutto il mondo. Tutti meno Corradi. La sua umiltà superava anche la bravura e poteva diventare persino fastidiosa. Suo compagno di lavoro e amico fraterno da quarant'anni, prima al Corriere poi al Giornale - di cui fu uno dei fondatori - ha continuato a chiamarmi «direttore» e solo con sforzo si rassegnava - è la parola - a darmi del tu. Non ci fu mai verso di persuaderlo che era un grande inviato speciale, anzi un maestro. Si considerava un semplice cronista e proprio per questo ch'era diventato un maestro. Come in pace non frequentava ministeri e ambasciate (per non parlare di salotti, credo che non ne abbia mai visto uno) così in guerra - che era il suo habitat preferito - si teneva alla larga da Stati maggiori e uffici operazioni. Da vecchio alpino il suo ambiente era la truppa, il suo mezzo di locomozione la «tradotta», il suo menu il rancio. Lo amavano tutti: era impossibile non amarlo. Non ho mai conosciuto nulla di più contagioso della sua freschezza e innocenza: anche il peggior furfante a contatto con Corradi se ne sentiva disarmato. Se Corradi avesse avuto la fede sarebbe certamente diventato un santo.

E a suo modo laico lo fu: pochi uomini hanno sopportato tanti dolori e amarezze con tanto coraggio e stoicismo senza chiedere aiuto a nessuno.
Indro Montanelli - 26 maggio 1990

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