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Egitto, cinque italiani tra i turisti rapiti Giallo sulla liberazione

Il sequestro nella zona di Assuan. Forse una richiesta di 15 milioni di dollari. Il ministro egiziano: «Sono sani e salvi in Sudan». La Farnesina: «Non sono ancora liberi»

Da New York, il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abul Gheit ha annunciato ieri sera la liberazione degli undici ostaggi stranieri rapiti durante il week-end nel Sud dell’Egitto. Alla Farnesina però non è giunta alcuna conferma. E due ore dopo l’agenzia di stampa egiziana Mena ha smentito il ministro, parlando di «sforzi in corso per arrivare alla liberazione». Un giallo dunque, durato tutta la giornata di ieri quello che ruota intorno al destino del gruppo di turisti (cinque italiani, cinque tedeschi, una romena) e gli otto cittadini egiziani sequestrati.
Tra gli ostaggi ci sono cinque abitanti della provincia di Torino. Lorella Paganelli, 49 anni, Giovanna Quaglia, 52, Walter Barotto, 68, Mirella De Giuli, 70, e Michele Barrera, 72, stavano facendo un safari nel deserto occidentale, organizzato dal tour operator Aegyptus. Venerdì, mentre erano al confine tra Egitto, Libia e Sudan (per la tv araba al Jazeera nella zona di Gilf al Kabir, per altri avrebbero sconfinato in Sudan) quattro uomini armati e mascherati avrebbero fermato il convoglio.
La Farnesina ieri ha confermato il sequestro e ha fatto sapere di trattative in corso ma secondo fonti interne il ministero degli Esteri ha deciso di mantenere la stessa linea seguita durante il sequestro dei due italiani in Somalia: silenzio stampa. Il ministro Franco Frattini, ieri in viaggio verso New York dove partecipa oggi all’Assemblea generale dell’Onu, è stato tutto il giorno in «continuo contatto» con l’ambasciata al Cairo. I rapitori avrebbero chiesto un riscatto di 6 milioni di euro. Il responsabile del Turismo egiziano, Zohair Garanah, ha detto ad al Jazeera che gli ostaggi sarebbero stati portati oltreconfine in Sudan. Anche qui un rincorrersi di conferme e smentite.
I rapitori sarebbero sudanesi o del Ciad per la tv al Arabiya (i ribelli del Darfour, a 300 chilometri a sud del confine egiziano, hanno negato il loro coinvolgimento). Secondo il Cairo si tratta di predoni, semplici criminali, ed è stata esclusa la matrice islamista. Anche fonti israeliane prediligono la pista criminale. In un primo tempo, le agenzie di stampa avevano scritto che tra i rapiti c’erano anche due israeliani. La notizia è stata poi smentita. Soltanto una settimana fa, i servizi di sicurezza israeliani avevano lanciato un allarme rapimenti e avevano chiesto ai connazionali di non viaggiare nei Paesi arabi, soprattutto nel Sinai egiziano, dice al Giornale il portavoce del ministero degli Esteri israeliano, Yigal Palmor, che spiega inoltre come, secondo informazioni in suo possesso, si tratterebbe di un sequestro a sfondo criminale. «In questa zona non ci sono movimenti islamisti organizzati e rivendicazioni politiche - spiega al Giornale Dia Rashwan, esperto di movimenti fondamentalisti del think tank del quotidiano egiziano al Ahram - il governatorato di Wadi al Gedid, valle nuova, dove si trova il deserto occidentale, è il più grande del Paese: 458mila chilometri quadrati; è un’area desertica, abitata da nomadi. Ci sono traffici d’armi e droga sul confine, ma c’è calma».
In passato, il settore turistico egiziano è stato vittima, dal 1997 al 2006, del terrorismo islamico. Ma è la prima volta che il Paese è teatro di un sequestro di stranieri e che i turisti diventano un obiettivo nella zona desertica occidentale. Rashwan rivela però che, secondo diverse fonti locali, nella stessa regione da gennaio sarebbero avvenuti altri rapimenti, risolti velocemente ma mantenuti segreti dalle autorità. È una zona fantastica, racconta al Giornale un dipendente della Travco, agenzia di viaggio egiziana. «È un’area protetta, un deserto di dune di sabbia, rocce e caverne con dipinti preistorici, resti romani ed egizi. Prima del 2000 pochi la conoscevano, oggi quasi tutti i tour operator del Paese vi organizzano safari. I gruppi sono accompagnati da agenti della sicurezza del governo».
È una delle parti meno battute del deserto del Sahara, celebre per la violenza delle tempeste di khamsin, il vento che arriva feroce fino al Cairo, a oltre mille chilometri di distanza e avvolge la città in una densa coltre giallastra per giorni. È in questo deserto che, nel 523 a.

C, il re persiano Cambise perse la sua armata: 50mila uomini in marcia verso l’oasi di Siwa, oggi meta di turismo alternativo, per distruggere l’oracolo di Amon, furono inghiottiti dal Gran Mare di Sabbia, centinaia di magnifici chilometri di dune dorate.

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