638 vittime, migliaia di feriti. È questo l'ultimo bilancio ufficiale della carneficina che due giorni fa, il 14 agosto, ha devastato il Cairo e in misura minore altre città in Egitto, lasciando senza vita centinaia di manifestanti vicini al deposto presidente Mohammed Morsi e 43 membri delle forze dell'ordine.
Lo sgombero degli accampamenti di Rabaa e Nadah, dove i Fratelli Musulmani manifestavano dal tre luglio, giorno del colpo di Stato che ha messo il potere nelle mani dell'esercito e di un governo ad interim, ha causato il bagno di sangue che molti avevano predetto, ribadendo la situazione di estrema polarizzazione del Paese.
Divisioni interne forti, difficile da risolvere, che ha ricordato anche Mohamed El Baradei. Il volto forte dell'opposizione e della rivoluzione del 2011 ha rassegnato le sue dimissioni da vice presidente nel pomeriggio di mercoledì, in disaccordo con la repressione violenta dei sit-in di protesta della Fratellanza.
La diplomazia internazionale ha espresso la sua preoccupazione per la situazione egiziana. Gli Stati Uniti di Barack Obama hanno annullato le esercitazioni congiunte con l'esercito del Paese, in una decisione che molti commentatori hanno bollato come una risposta troppo lieve agli avvenimenti del Cairo. I detrattori chiedono a Washington di ripensare la propria strategia di aiuti all'Egitto, iniziando dal definire la deposizione del governo eletto di Morsi un colpo di Stato. Un passo che finora non è stato fatto. La presidenza egiziana ha comunque criticato la condanna statunitense, che vede come un incoraggiamento ai violenti.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito a porte chiuse, su richiesta di Francia, Gran Bretagna e Australia. Dopo l'incontro - che secondo al Jazeera non ha portato a "decisioni significative" - gli Stati membri hanno chiesto la "massima moderazione" e di avviare una "riconciliazione nazionale". La Turchia ha ritirato dall'Egitto il proprio ambasciatore. All'azione diplomatica il Cairo ha risposto cancellando le esercitazioni navali congiunte già previste.
Il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino, ricordando che lunedì si riunirà con i colleghi europei, ha criticato la repressione delle proteste: "Non si spara contro metà della popolazione".
A due giorni dalle centinaia di morti che hanno sconvolto la capitale egiziana, in molti continuano a denunciare le difficoltà nel seppellire i propri cari, ammassati negli obitori della città e in una moschea del Cairo. Le famiglie sostengono che il governo stia facendo il possibile per rendere difficile ottenere le autorizzazione. Il quotidiano online Mada Masr ha denunciato come in alcuni casi i famigliari siano stati costretti a dichiarare un suicidio come causa del decesso.
I Fratelli Musulmani hanno chiamato i propri sostenitori a scendere di nuovo in piazza oggi, in quello che hanno definito il "venerdì della rabbia", come il giono più tragico della rivoluzione del 2011. Il portavoce dell'organizzazione, Gehad el-Haddad, ha detto che "dopo gli arresti e le uccisioni, incanalare le emozioni sarà impossibile". Anche ieri si sono susseguiti scontri e proteste, il palazzo del Governatorato di Giza è stato dato alle fiamme.
In strada si attendono milioni di persone. A manifestare saranno anche i sostenitori del colpo di Stato, chiamati dal Fronte di liberazione nazionale a scendere in piazza contro "gli ovvi atti di terrorismo" della Fratellanza. Il rischio è che per l'Egitto la giornata si concluda in un nuovo bagno di sangue.
538em;">Da questa mattina piazza Tahrir è circondata da filo spinato e mezzi delle forze di sicurezza, che cordonano la piazza simbolo della rivoluzione del Cairo. Bloccato - secondo testimoni sentiti dall'Ansa - anche il ponte Sei ottobre. Le forze dell'ordine potranno sparare sui manifestanti.
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