Egitto, fuori dal carcere 950 estremisti islamici

Il Segretario di Stato: «Per non perdere credibilità adesso bisogna fare passi importanti»

Fausto Biloslavo

L’Egitto ha scarcerato 950 affiliati della Jamaa al Islamiah, un gruppo islamico tra i più sanguinari degli anni Novanta, che in gran parte ha accettato di abbandonare la lotta armata. I detenuti sono stati rilasciati negli ultimi dieci giorni, come ha rivelato una fonte anonima del ministero degli Interni alla televisione satellitare Al Arabyyah. Altre fonti parlano di una scarcerazione più lenta, nelle ultime sei settimane o in un periodo di tempo maggiore, ma il significato politico non cambia. Le autorità egiziane vogliono chiudere il capitolo del terrorismo degli anni Novanta graziando chi rinuncia a imbracciare le armi.
L’ultimo gruppo, di circa 300 islamici - anche se altre fonti parlano solo di 50 -, è stato scarcerato martedì scorso, anniversario della nascita del profeta Maometto, che in tutto il mondo islamico coincide con atti di clemenza.
Secondo notizie di agenzia, sarebbe stato liberato anche uno dei capi storici del gruppo, Najih Ibrahim, ma in realtà il suo rilascio era stato annunciato già nel 2003, assieme ad altri leader dell’organizzazione. A volte gli esponenti di spicco vengono di nuovo arrestati per esercitare pressioni sugli altri membri del gruppo. «Alcuni dei detenuti erano in carcere da 15 o 20 anni», hanno fatto sapere le autorità del Cairo.
Con questo massiccio rilascio «il caso Jamaa al Islamiah può considerarsi chiuso», ha commentato il legale del gruppo, Montasser el-Zayyat. In realtà sembra che altri 2.000 affiliati dell’organizzazione terroristica, probabilmente irriducibili, siano ancora dietro le sbarre. In Egitto sarebbero circa 12mila i prigionieri politici in galera senza processo, grazie alle leggi speciali d’emergenza.
La Jamaa al Islamiah (letteralmente «gruppo islamico») viene fondata alla fine degli anni Settanta, e nel 1981 organizza l’uccisione del presidente Anwar al Sadat, colpevole di aver firmato un trattato di pace con Israele. Negli anni Novanta il gruppo fondamentalista scatena una guerriglia, con sanguinosi attentati soprattutto nel sud del Paese. Il leader spirituale è lo sceicco cieco, Omar Abd al-Rahman, in carcere negli Usa, dove sconta l’ergastolo per il primo attentato alle Torri gemelle del 1993. L’apice del terrore è l’attacco di Luxor, in cui vengono uccise 58 persone, quasi tutti turisti stranieri. Dopo l’eccidio, il gruppo islamico si spacca tra la fazione maggioritaria che aderisce al cessate il fuoco nel 1999 e un nocciolo duro deciso a proseguire la lotta armata.
Negli ultimi anni i leader storici in carcere, come Karam Zuhdi e Najeh Ibrahim, condannano apertamente il terrorismo e scrivono un libro per spiegare il loro ripensamento.

Nel 2003 iniziano le prime scarcerazioni, ma l’ala irriducibile della Jamaa al Islamiah continua a tramare sotto la guida di Rifa’i Taha Musa, che nel 2001 pubblica un testo in cui giustifica le stragi di massa in nome della guerra santa.

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