Cronaca locale

Erano in 12, oggi ne è rimasta una «Ecco i segreti per sopravvivere»

Il parmigiano? Solo se con il latte delle «Rosse romagnole», praticamente mucche col pedigree. L’aceto? Quello prodotto da una famiglia francese che vive sui Pirenei e che è lasciato macerare al sole con cannella e chiodi di garofano. La carne? Tutta quella che si desidera, la tradizionale, la «biologica» e la «biodinamica». Ma sul banco compaiono anche cibi pronti da cuocere, arrosti con erbette o ripieni di formaggio, polpettine, trippa con i fagioli di Spagna e un mix di sedano e carote lavate e tagliate, come accompagnamento. Appese alle pareti un’infinità di ricette, per preparare un pranzo completo, dall’antipasto al dolce. Buttate un occhio dentro la macelleria di Walter Sirtori in via Sarpi 27 e capirete perché questo è un negozio sempre affollato. Aperto nel 1950, dietro il banco tre generazioni di macellai, il posto è in continua trasformazione. E non ha mai conosciuto crisi. Negli anni ’80 in via Sarpi c’erano dodici macellerie, la sua oggi è l’unica sopravvissuta (più altre tre cinesi).
Il segreto? «Ascoltare i clienti. Me l’ha insegnato mia moglie Angela, che veniva da me a servirsi tanti anni fa. Vendo arrosti per uno o due persone, 3-4 etti al massimo, penso alla gente che vive sola, alle coppie che entrano e non gradiscono gli avanzi. Mi piace osservare il cliente, ascoltarlo, preparare una fiorentina da mangiare in due, suggerire le ricette. I cinesi? Certo che vengon qui, soprattutto i giovani, hanno voglia di provare cibi diversi e acquistano anche le specialità milanesi, ossobuco compreso». Naturalmente questo non è l’unico segreto. Il macellaio come lo intende Sirtori è soprattutto un artigiano che valorizza l’opera di altri artigiani. Nella sua macelleria c’è un ascensore a vetri che porta a una cantina, «dalla temperatura e umidità naturali» dove stagionano forme di parmigiano, prodotti con il latte delle mucche romagnole: «È fondamentale che il latte non sia mescolato» ha precisato Sirtori. E poi salami fatti in casa, «ho insaccato il prodotto per Pasqua, il maiale non dovrebbe superare questa data», coppe, culatelli, prosciutti crudi. Tutta la carne è macellata da Sirtori fuori Milano. Sempre in cantina spiccano i contenitori del lardo - i migliori - in marmo di Carrara. «La scoperta fu fatta per caso: i lavoratori del marmo consumavano parecchio lardo, avendo bisogno di molte energie. Si accorsero che buttando pezzetti di pancetta e lardo nei sarcofaghi, l’umidità della pietra restituiva al cibo un gusto speciale». Insomma, qui dentro fa tutto lui, o quasi. «È senz’altro un mestiere da tramandare perché artigianale, c’è la responsabilità personale, il pensiero creativo. Il macellaio ha una missione: nella storia si occupava della salute pubblica e questo impegno è rimasto anche se oggi, a garanzia, ci sono etichette e bollini. Ma una targhetta può anche essere compilata male, se invece voglio che il cliente si fidi di me gli presento un pezzo buono».
Un angolo della macelleria è adibito a libreria: «Il migliore? Il dizionario delle carni di Dumas, è un testo dell’800 ricco di consigli preziosi», oltre ai testi le riviste, una è aperta sulla scrivania alla pagina dedicata all’aceto.
C’è una carne che va di moda, che piace più delle altre? «In genere mi chiedono i prodotti di stagione. Ora, con il caldo, va forte il carpaccio, crudo o cotto e la carne trita per la tartare. Nelle mezze stagioni prevalgono ossibuchi, spezzatini e brasato. A Natale, ma anche in estate, il magatello per il vitello tonnato. Da un po’ di anni è tornato in auge il bollito, è buono con tanti pezzi: testina, ganascino, biancostato, gallina. Ma polli e galline si gustano anche con le verdure e serviti freddi, d’estate». E gli avanzi? «Non resta nulla, nell’intervallo del pranzo mangiamo noi qui. Lo faceva mio nonno, prima serviva i dipendenti, poi i figlioli».

Già, dimenticavamo, in fondo al negozio c’è una spaziosa cucina.

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