Erano «quattro amici al bar» o pochi di più in origine, ma non «volevano cambiare il mondo», come nel testo di Gino Paoli. Volevano solamente riportare il Monte Moro all'antico splendore dopo l'incendio dello scorso autunno. È così che è nato il gruppo Amici di Monte Moro che oggi conta una cinquantina di volontari e ieri ha organizzato una giornata intera su uno dei più bei belvedere della città, a picco sul mare, con la vista che spazia dal promontorio di Portofino, da un lato, all'estremo ponente dall'altro. Ma ieri niente tovaglie e cestini da picnic sui prati e lungo i declivi, ma guanti da lavoro, sacchetti, rastrelli e ramazze. Perché le fiamme che si sono scatenate sulle alture di Genova hanno mandato in fumo per i genovesi anche l'immagine bucolica della montagna, meta per le uscite fuori porta, per le biciclettate immersi nella natura, degli innamorati.
Una volta spenti gli ultimi focolai, tra i tizzoni ancora ardenti, il monte ha svelato il suo vero volto: una discarica. Sparita la macchia mediterranea, tra gli alti pini che hanno resistito all'inferno di fuoco, è emerso un sottobosco di ciarpame e rifiuti, di gabinetti, lavandini, lamiere. «Avevamo ancora impresse le immagini della collina deturpata», racconta Francesco Viscardi che pochi giorni dopo le fiamme del 6 settembre si è ritrovato con alcuni amici «per bere una birra insieme ed è lì che abbiamo deciso di costituire il gruppo raccogliendo tra di noi i primi spiccioli». Poi il gruppo è cresciuto coinvolgendo anche la scuola materna ed elementare Padre Ottavio Assarotti, di via San Bartolomeo degli Armeni e l'Associazione Nazionale Alpini. Tutti insieme, ieri, per le pulizie di primavera con le mamme e i bambini della scuola impegnate a restituire insieme agli altri amici della montagna l'ultimo tratto del belvedere alla sua originaria bellezza.
Appuntamento dalla chiesetta di Santa Chiara consacrata, come spiega una targa, nel 1970 dal cardinale Giuseppe Siri e completamente restaurata da Giorgio Benincasa, 48 anni e idraulico. «Il mio sogno è convincere gli innamorati a sposarsi in questa chiesetta davanti a questo orizzonte», racconta Benincasa che negli ultimi due anni ha deciso di occupare l'appartamento attiguo al luogo di culto, ultimo avamposto di un monte divenuto terra di nessuno. Pochi metri più avanti, a picco sul mare, l'«Hostaria di Monte Moro», chiusa da circa vent'anni e nata in quello che in origine era il comando della Terza Legione di Artiglieria contraerea «La Dominante». Il terreno e la caserma sono ora disputati da warrior per farne un finto campo di battaglia, e rave-party all'insegna della musica a tutto volume. Mentre dove ancora oggi si vede la vecchia cucina della trattoria, la sala è ricoperta di pallini di gomma dei fucili ad aria compressa, e dai resti dell'ultima serata da sballo. Più sotto, nei bunker, la più imponente opera difensiva della città, ci sono i rottami di una vettura arrugginita e non più riconoscibile. Residuo delle decine di carcasse tirate su dallo stesso Benincasa col suo fuoristrada insieme agli amici di Monte e Moro e dalla ditta che ha preso in appalto i lavori. Perché «dopo un primo censimento delle carcasse ci siamo rivolti alle istituzioni facendo la spola tra Comune e Aster», racconta Viscardi.
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