Non sappiamo quando nacque. Conosciamo il giorno (o meglio la notte, tra 27 e 28 ottobre), ma non lanno. Fu forse il 1466, come riportano le enciclopedie a stampa e on-line? O il 1464, il 1469 e così avanti sino al 1472? È lui stesso a indicare queste date nei suoi scritti. Per 23 volte sembra farsi beffe del lettore come fosse nato più volte. Eppure era serissimo: umanista dotto e raffinato, consulente e amico di papi e re... Il fatto è che, con qualche probabilità, nacque da madre certa e padre prete. Il che, a un cattolico come lui, non andava giù. Ma forse appunto, come sostenne a più riprese, il padre ancora non lo era, prete. Comunque, dopo aver messo incinta la giovane, il genitore se nera scappato a Roma, prima di tornare nella patria Rotterdam.
Tirato su dalla nonna e dalla madre, il nostro giovane approdò, come spiega Johan Huizinga nella sua biografia, alla scuola dei Fratelli della Vita Comune di Deventer, centro monastico moderno e prestigioso da cui era uscito Tommaso da Kempis con la sua Imitazione di Cristo. Insomma, sui banchi si masticavano preghiere e letture della Bibbia. Ma era troppo entusiasta, il giovinetto: come tanti altri faticava nello schema un po rigido del collegio, mentre lEuropa era percorsa dal fermento delle prime edizioni a stampa e dellumanesimo italiano, fra le mura di Deventer, tutto arrivava in ritardo.
Poi la morte si prese la madre e il padre e lo mise alle strette. Contribuirono a un senso di spaesamento il mutare di collegio e la costituzione fisica, debole e raffinata insieme. Era, il suo, un fisico «di struttura rada e spirito sottile», come certificavano i medici che lavevano in cura. Giacché gli bastava ritardare dunora il pranzo e subito stomaco e cuore facevano le bizze. Il fatto era, però, che quel giovane ormai trentenne si era divorato i classici, anche quelli proibiti. E il fatto fu che la grande occasione gli si presentò: divenne segretario di un vescovo-dignitario di corte. Iniziarono i contatti con le alte sfere, i viaggi, le dispute, la scoperta del vasto mondo che brulicava. E lo notarono, tanto che papa Giulio II gli permise di non portare, a piacimento, labito del suo ordine (ma avrebbe dovuto vestirsi da sacerdote). Insomma, a cavallo tra 400 e 500 quel giovane di salute malferma e belle speranze divenne Erasmo da Rotterdam.
Il geniale, il dottissimo, leclettico Erasmo. Parigi, Lovanio, Londra, Basilea, Torino, Venezia, Roma e tante altre città vide e contraddisse, alla ricerca di una nuova sintesi fra amore per Cristo e riforma della Chiesa, adesione alla tradizione cattolica e critica al malcostume degli uomini, del denaro e del potere, dello zampino del Demonio tra le colonne del Tempio. Disse, fece, viaggiò, insegnò (tra laltro greco a Cambridge). E scrisse: la celebre raccolta di massime latine (gli Adagia, del 1500), il Manuale del soldato cristiano (1502), il Principe cristiano (1516), e altre sino al suo capolavoro, la prima edizione in greco del Nuovo Testamento, condotta (per la verità non con eccessivo rigore filologico) su manoscritti salvati alla caduta di Bisanzio, più una nuova traduzione in latino che mirava a soppiantare la Vulgata di san Gerolamo.
Fu amico di Tommaso Moro, che egli scherzosamente chiamava «adepto di Morìa», che poi sarebbe la «follia» greca. E fu così conquistato dal gioco di parole che volle scherzarci sopra: e fu lElogio della follia, unoperetta irriverente e paradossale destinata a rimanere il suo scritto più celebre. Anche perché fu un mezzo errore: troppo geniali quelle righe in cui si mettevano a nudo le miserie delluomo sino a parlare della «follia» di Cristo.
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