Un’esecuzione, mille verità E l’Onu pretende l’inchiesta

Un’esecuzione, mille verità E l’Onu pretende l’inchiesta

Che Gheddafi sia stato giustiziato a sangue freddo, e prima ancora insultato, sputato, strattonato, trascinato per terra come un trofeo insanguinato, calpestato come un cane, o come un povero Cristo, lo abbiamo già scritto venerdì. Ora ci sono le prove. Ci sono i filmati, le foto ricordo, le riprese fatte coi telefonini dai suoi aguzzini perché possano gloriarsene nei giorni a venire, negli immancabili «speciali» e nei futuri amarcord in Tv, quando i mammozzoni del Cnt si autocelebreranno dimenticando di ricordare che Gheddafi e il suo regime sono stati spazzati via dai missili e dalle bombe dell’Occidente «democratico». Verranno buoni, quei filmati, quelle foto dello storico linciaggio, per una pensione da «comandante Valerio»; perché ai sadici assassini del raìs venga assegnato, «per meriti speciali», un posto da pretoriano del futuro regime o da funzionario all’agenzia del gas. Ma verranno buoni, quei filmati e quelle foto, anche per istruire l’inchiesta già annunciata dalle Nazioni Unite.
Gli ultimi istanti di vita di Muammar Gheddafi restituiscono l’immagine di un uomo vivo ma già spezzato dentro. La canea ululante che partecipa al linciaggio lo assedia da presso, lo trascina per i capelli, lo martirizza, lo umilia, ne strazia le carni già sanguinanti a pedate. In un video si sentono alcuni insorti che urlano: «Non ammazzatelo, non ammazzatelo! Lo vogliamo vivo», mentre la colonna sonora è un misto di urla, di invocazioni ad Allah, di spari.
Tra il popolino c’è anche il ragazzo (ora dicono che si chiami Mohammed al-Bibi) che fra poco verrà fotografato con la pistola d’oro del rais in mano. «Ma non è stato lui a ucciderlo», dicevano ieri gli insorti. «Lui ha solo ammazzato il figlio di Gheddafi, Mutassim, e il ministro della Difesa, Jaber».
Come ci si sente in quei momenti? Lui, l’uomo davanti al quale per quarant’anni tutti si sono inchinati deferenti, non solo in Libia, socchiude gli occhi, con un gesto si toglie un grumo di sangue dallo zigomo sinistro, forse chiede pietà, forse si augura che tutto finisca presto. Una scena così straziante, così vergognosa, così orrendamente belluina e mediaticamente autolesionistica da imbarazzare perfino i capataz del Cnt, il Consiglio nazionale di transizione che ora, sapendo di mentire, e sentendosi sul collo l’alito dell’infamia, inscena una versione dei fatti come dire più «umana», sostenendo che il colonnello è morto sull’ambulanza che lo stava portando, ferito, all’ospedale. E sapete ucciso da cosa? Da una meravigliosa, provvidenziale «pallottola vagante», che proprio per il suo essere vagante non si sa da chi è stata sparata; mentre non è affatto detto, anzi è verosimilmente escluso, che avesse per bersaglio l’oggetto della Grande Caccia.
Che il raìs sia stato linciato dopo la cattura lo ha detto anche il medico legale libico che ha eseguito l’autopsia sul cadavere. Proiettili sparati da distanza ravvicinata alla testa e allo stomaco, dice il referto. Dovrebbe bastare. Giustiziato come Mutassim, uno dei suoi figli, anche lui catturato vivo e ammazzato con un proiettile al collo.
Come poi abbiano fatto, i caccia francesi e americani (a proposito: era il caso di gloriarsene, come ha fatto l’altro ieri il ministro francese, a intercettare con sicurezza il convoglio sul quale Gheddafi cercava di rompere l’accerchiamento di Sirte?), lo ha spiegato ieri Andrea Margelletti, presidente del Cesi, il Centro studi internazionali. Secondo Margelletti, quando Gheddafi e il suo entourage hanno visto che tutto stava crollando si sono attaccati ai cellulari, evitati fino a quel momento come la peste, per fare la conta di chi era rimasto, del gruppo di fedelissimi su cui fare affidamento. «Lo spionaggio elettronico è entrato in azione, e una volta individuato il bersaglio è stato facile far scattare l’operazione».
Per tutta la giornata di ieri il cadavere di Gheddafi è rimasto in una cella frigorifera in un vecchio supermercato di Misurata. Nessuno sa dire quando, e dove, verrà tumulato il suo corpo.

Ma soprattutto: a chi affidare le spoglie del raìs? I suoi familiari ancora in vita, quelli ai quali per tradizione dovrebbe essere consegnata la salma, sono in Algeria. Al loro posto si sono fatti avanti i maggiorenti della tribù del rais, i Qaddafia. Loro non hanno avuto paura di esporsi. Lo seppelliranno loro.

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