Esequie con applauso, l’ennesima fesseria dei nemici del silenzio

Caro Dottor Granzotto, la supplico: si faccia promotore di un’iniziativa mirata a sopprimere per legge la stupida, irriverente abitudine di applaudire ai funerali! La commozione provata in occasione delle esequie dei nostri sei militari è stata turbata da questi battimani assolutamente fuori luogo. Di fronte al lutto e al dolore per queste perdite, solo il raccoglimento, la preghiera e il silenzio possono testimoniare la vera, sincera partecipazione di chi è presente al funerale. Non ricordo di aver battuto le mani al funerale dei miei genitori, nonostante se lo meritassero largamente per tutto quello che avevano fatto per i loro figli. Intervenga presto, prima che il minuto di raccoglimento e di silenzio osservato nelle scuole, nelle fabbriche, negli stadi un domani diventi un minuto di scroscianti applausi. Grazie

Non si faccia illusioni, caro Morocutti. Oltre che irriverenti, lei ha definito stupidi gli applausi nel corso di una cerimonia funebre. E questo è il punto. Come sosteneva Leo Longanesi, uno stupido è uno stupido, diecimila sono una forza storica. E chi la ferma, una forza storica? Credo che il deprecabile andazzo di scrosciare in applausi durante un funerale tragga certamente dalla pulsione, già questa di per sé stupida, di spettacolarizzare ogni aspetto della vita. Ma anche - ed io ritengo preminentemente - dal moderno culto del rumore. Il silenzio pare sia diventato insopportabile al genere umano, e così la quiete, l’assenza di moto. L’estate, stagione di vacanze, di ferie, di villeggiature, tregue un tempo non lontano dedicate al riposo, s’è fatta tumultuosa e chiassosa. Insonne, a causa del frastuono di mille discoteche, mille bar, mille sagre, mille baraonde promosse dalle pro loco, mille manifestazioni musicali e culturali, fra virgolette, in piazza. E c’è frastuono musicale nei supermercati, nei negozi che si danno una lustratina dicendosi show room, nei luoghi comuni degli alberghi e delle pensioni, nei ristoranti che propinano la cucina innovativa, nelle sale d’attesa degli aeroporti e di molte stazioni ferroviarie. La forza storica di cui sopra ci impone di vivere assordati, caro Morocutti. Violando anche il silenzio che nel corso della celebrazione di un rito funebre è, o perlomeno era, dovuto. Il silenzio della pietà, il silenzio del dolore che gli stupidi si compiacciono di spezzare con battimani da «Gran Varietà». E se tanto mi dà tanto, in un domani non lontano passeranno alla «ola». Per tornare ai funerali dei sei ragazzi della Folgore caduti a Kabul, valga ciò che ha recentemente scritto Pietrangelo Buttafuoco. Dopo aver chiarito che la «peste dei parà è la retorica» (e cosa c’è di più retorico dell’applauso?) e che caso mai «l’unico impasto che gli compete è la poesia», lascia la parola a Sergio Claudio Perrini, «lodatore di poeti e fustigatore di poetastri, già parà in quel di Livorno».

Ebbene, fra i momenti poetici della sua esperienza fra i ranghi della Folgore, Perrini comprende: «I parà schierati lungo il perimetro della piazza d’armi della caserma Vannucci a Livorno, per l’ultimo saluto a due commilitoni saltati in aria durante un’esercitazione: il silenzio glaciale rotto via via dal singolo schiocco delle mani sulle gambe di ogni parà che scattava sull’attenti al passaggio dei feretri».

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