Mohammed Morsi è il nuovo presidente egiziano, il successore di Hosni Mubarak. Ieri, la Commissione elettorale ha annunciato la sua vittoria con il 51,7% dei voti, contro il 48,2% del rivale Ahmed Shafik, ex premier. A Tahrir, iconica piazza simbolo della rivoluzione del 2011, migliaia di suoi sostenitori si sono riuniti nel primo pomeriggio per ascoltare in diretta l’annuncio dei risultati. Hanno pregato, urlato slogan contro «il governo militare». Hanno ascoltato con radio, telefoni e computer l’interminabile discorso del presidente della Commissione. Si sono riparati dal sole con bandiere, tappeti da preghiera, giornali. L’attesa è durata oltre 50 minuti,poi la piazza è esplosa in un boato. «Morsi, Morsi», «La rivoluzione continua». Per i sostenitori dei Fratelli musulmani, ma anche per molti elettori che hanno visto in Shafik un ritorno dell’ex regime, la vittoria di ieri è un passo importante. Nel suo primo discorso, Morsi ha detto «non sarei qui senza la grazia di dio e il sangue dei martiri». Ma anche «sarò il presidente di tutti gli egiziani » e «rispetterò i trattati internazionali». A livello di promesse, dunque, la minoranza copta e Israele dovrebbero stare tranquilli.
La festa dei sostenitori di Morsi ha trasformato una giornata iniziata con nervosismo e ansia. Nei quartieri del centro, molti negozi e uffici sono rimasti chiusi, per timore che i risultati potessero innescare scontri. Le celebrazioni sono andate avanti fino a tardi. La festa però non cancella il fatto che quella di Morsi sia una vittoria dimezzata. Il presidente, infatti, avrà poco spazio di manovra politica. A poche ore dalla chiusura dei seggi, domenica scorsa, i militari che guidano il Paese hanno pubblicato una dichiarazione costituzionale che limita l’autorità del nuovo leader. Il documento dà ai generali pieno controllo su qualsiasi questione riguardante le forze armate, la sicurezza interna ed esterna. E concede loro autorità di formare l’Assemblea costituente, quindi di dare forma al nuovo sistema istituzionale egiziano. Pochi giorni prima, la Corte costituzionale aveva ordinato la dissoluzione del Parlamento eletto a novembre, a maggioranza islamica, con una mossa definita da molti osservatori un «colpo di Stato giudiziario».
I sostenitori di Morsi promettono di restare in piazza. «Questo è soltanto il primo passo, non andremo via da Tahrir finché il Parlamento tornerà a essere legittimo, finché i militari terranno il potere», spiega Mohammed Salah Al Gibali, 32 anni, membro della Fratellanza. Venerdì, Morsi ha annunciato una coalizione con gruppi rivoluzionari e figure laiche e liberali. Ha promesso un governo non a maggioranza islamica e un vice presidente donna o cristiano o dei gruppi giovanili o un ex candidato presidenziale. «Sono promesse che manterremo - ha detto al Giornale Yahia Hamad, responsabile della campagna di Morsi - E resteremo a Tahrir». La Fratellanza fa pressioni sulla giunta- che dovrebbe trasferire i poteri al presidente a inizio luglio - attraverso la mobilitazione della piazza.
I militari, rivela Hamad, si sono già congratulati con Morsi. E congratulazioni sono arrivate da Gran Bretagna, Stati Uniti, Turchia, Iran. Israele apprezza «il processo democratico » in Egitto e auspica un proseguimento della cooperazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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