La polizia attacca piazza Taksim, il «sultano» Erdogan annuncia «tolleranza zero» e ieri sera la battaglia di Istanbul, che ha lasciato sul terreno 100 feriti, è riesplosa. Altre migliaia di persone sono scese in strada ad Ankara. Lo scontro con il governo non si placa e se la situazione degenerasse, come è accaduto all'inizio della primavera araba in piazza Tahrir, al Cairo, cosa farebbe il potente e demoralizzato esercito turco?
Ieri sera una nuvola bianca provocata dai lacrimogeni avvolgeva piazza Taksim occupata da dieci giorni per una protesta sempre più nazionale e contro il governo islamico del primo ministro Recep Tayyip Erdogan. Agenti in assetto anti sommossa, blindati e mezzi con gli idranti hanno dato battaglia a migliaia di giovani che lanciavano pietre e molotov contro lacrimogeni e granate assordanti. In mattinata la polizia aveva sgomberato la piazza con la forza. I buldozzer hanno demolito le barricate, ma i manifestanti si sono arroccati nel vicino parco Gezi, dove è nata la rivolta.
Dopo il blitz mattutino in piazza Taksim il premier Erdogan ha annunciato il pugno duro. Settantrè avvocati, che difendono i manifestanti sono stati arrestati. Stessa sorte per 47 giovani, sotto i 20 anni, accusati di aver inviato dei tweet durante le proteste. Secondo Alì Sahin, vicepresidente del partito al potere, twitter è una minaccia «più grave di un'autobomba». Il leader dell'opposizione, Kemal Kilicdaroglu, ha bollato il primo ministro come «dittatore».
Sul sito del quotidiano Hurryet affiorano le drammatiche testimonianze dei ragazzi fermati dalla polizia. Tutte da verificare, ma lo studente turco Erkan Yolalan denuncia di essere stato picchiato selvaggiamente: «Sono scivolato nell'inferno. Ogni agente presente ha iniziato a prendermi a calci e pugni. Per 150 metri, fino al bus della polizia». Dentro il cellulare il ragazzo arrestato il 3 giugno ha sentito la voce supplicante di una giovane: «Non ho fatto nulla signore». Poi un agente le avrebbe detto: «Ti sbatto per terra e ti violento, ora». E la ragazza, con un filo di voce, avrebbe risposto: «Sì signore».
Erdogan ha minacciato di far scendere in piazza i suoi sostenitori: «Un milione contro 100mila». Se la situazione precipitasse l'esercito turco rimarrebbe nelle caserme? I generali cresciuti nel mito di Atatürk, che per i manifestanti è un simbolo della cultura laica contro l'islamizzazione di Erdogan, hanno già compiuto tre colpi di stato dal 1960. Lo scorso settembre una corte di Istanbul ha condannato tre ex generali a 20 anni di galera per un complotto contro Erdogan del 2003. Non a caso nei dieci anni di potere del nuovo «sultano» le purghe e le inchieste della magistratura hanno falcidiato le forze armate turche. Si calcola che siano almeno 450 i militari in servizio e non, compresi ammiragli e generali, sotto inchiesta o processo per aver cercato di abbattere il nuovo potere islamico.
Il primo esercito europeo della Nato è profondamente demoralizzato. I vertici sono stati epurati, ma dal grado di colonnello in giù molti ufficiali sono legati al mito di Atatürk e alla difesa della Turchia laica. Solo il controverso analista israeliano, Avidgor Eskin, ha sostenuto apertamente che «un colpo di stato è possibile, come capitò in passato». I giovani manifestanti considerano un periodo terribile quello delle baionette al potere negli anni Ottanta, quando non erano ancora nati.
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