Gilad Shalit non era un eroe. Era un ragazzo qualunque, come un compagno di scuola dei nostri figli, come il vicino della porta accanto... Chiunque egli fosse, per quel ragazzo, per strapparlo dalle grinfie di Hamas, Israele dette in cambio 1027 prigionieri. Il capo di Stato Maggiore Benny Gantz lo chiamò «un eroe», e in effetti restar vivi e conservare quel mezzo sorriso timido dopo cinque anni di privazioni e solitudine non è da tutti. Ma il ventenne timido e spilungone figlio di tutti noi, gli occhi nocciola e le orecchie a sventola immortalati da tutti i media del mondo mentre dopo cinque anni di reclusione crudele tenta un saluto militare di fronte a Bibi Netanyahu che lo riceve fra le sue braccia quando Hamas lo restituisce il 18 ottobre 2011, il ragazzo adorato da mezzo mondo compreso dalla giornalista che l'ha anche conosciuto e che aveva come milioni di persone le lacrime agli occhi quando fu rimesso in libertà, un eroe non era. È quanto legge sui giornali in questi giorni tutta Israele: un articolo del famoso giornalista Ben Caspit racconta con dovizia di particolari le conversazioni del soldatino con gli investigatori che dopo la restituzione, e con affetto profondo, raccolsero da lui la verità del giorno del rapimento. Gilad l'ha raccontata con precisione e sincerità, mostrando un quadro per cui ogni madre può essere sicura che, se per quel soldato imbranato e impaurito è stato pagato quel prezzo, ogni soldato israeliano avrà comunque diritto allo stesso trattamento. Dunque, non c'è stato né eroismo né estremo coraggio, ma solo shock da battaglia: neppure una pallotola è stata sparata nonosante le possibilità che si offrirono di reagire in quel giorno in cui Gilad fu rapito e, degli altri tre che sedevano nel suo Merkava 3, un carro armato di classe, due furono uccisi.
La mattina del 25 giugno 2006 era stato ordinato che nelle ore fra oscurità e aurora i quattro membri dell'equipaggio i soldati di guardia lungo il confine con Gaza, tutti svegli, mantenessero lo stato di allerta. C'era il sentore di un attacco terrorista. Invece uno solo dei soldati era sveglio, il guidatore. L'artigliere (Shalit) era al suo posto,il comandante nella torretta e l'altro soldato ai loro posti, ma tutti addormentati. Shalit non conosceva, ha detto, il contenuto dell'allarme, anche se aveva partecipato alle riunioni: ha raccontato agli investigatori che si affidava al suo comandante. Quindi gli erano ignoti gli avvertimenti su un'infiltrazione possibile. Non sapeva neanche che vicino al suo tank c'erano altri soldati (a 200 metri) che avrebbero potuto correre in aiuto. Shalit non aveva fatto attenzione, ha detto. Quando iniziò l'attacco, dormiva senza elmetto, senza la giacca a prova di proiettile, attaccata alla sedia, e forse anche senza il gilet swat con le munizioni. Alle cinque meno cinque, il commando di Hamas colpisce il tank con un lanciarazzi. Gilad si sveglia in tempo per veder il comandante Hanan Barak e il guidatore Pavel Spitzer saltare giù dal carro armato. Probabilmente pensano che il tank sia in fiamme, cosa non vera: un Rpg come quello lanciato non danneggia più di tanto un Merkava 3. Barak e Spizter vennero uccisi, usciti per proteggere il tank e i due soldati rimasti dentro, e quasi nessuno conosce il loro nome. Qui comincia la storia della scelta di Gilad, che resta dentro perché, ha raccontato, così si sentiva più sicuro. Potrebbe sparare a volontà, dato che il cannone del suo tank, come le tre mitragliatrici sono potenti e precisi. Basterebbe toccare il grilletto, ma lo shock prende il sopravvento, Gilad si sente intrappolato, sta fermo, non spara, racconta che dopo il crepitare di un mitra capì che i due usciti erano morti o feriti. Shalit restò immobile senza sparare o girare la torretta per spaventare gli attaccanti (soltanto due). Quando un militante getta una granata nella torretta. Shalit viene ferito molto leggermente al fondo schiena e a un gomito, probabilmente a salvarlo è la giacca antiproiettile appesa alla sedia. Spaventato dal fumo, fa l'ennesimo errore: sale, apre, vede il terrorista che si arrampica con l'arma a ciondoloni dietro la schiena, le mani occupate dall'arrampicata. Shalit non può sparare perché il suo M16 è rimasto abbandonato sul pavimento. È facile a questo punto per il terrorista puntargli l'arma addosso e intimargli di andare con lui.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.