C'è uno spiritoso, a Mosca, un avanguardista, un temerario, un omosessuale ecco l'orrenda parola, se pronunciata nell'universo ex sovietico - che ha deciso di sfidare a viso aperto il comune senso del pudore che in quel grande Paese è incarnato dal Grande Tartufo Vladimir Putin. Il temerario è l'organizzatore del gay pride russo Nikolai Alekseev. Su di lui si è recentemente abbattuta una multa di 4 mila rubli (una novantina di euro: un'inezia, d'accordo: ma è il principio che conta!) per aver esposto davanti alla biblioteca per bambini di Arkhangelsk, su nel nord, un cartello con la scritta: «La propaganda gay non esiste perché gay si nasce». Con ciò contravvenendo, appunto, alla legge che vieta la propaganda omosessuale in presenza di minori. Stavolta, gli hanno fatto capire, va così: un'ammenda, una pubblica deplorazione e via. La prossima, incespicherà contro due tipi in borghese, e ci vorrà uno bravo al Pronto Soccorso.
Sempre ieri, sulla legge in questione si è espressa la Corte Costituzionale russa, che il baggiano Alekseev aveva non senza una certa ribalderia interrogato, ribadendo che è una legge magnifica e non viola affatto la Costituzione. Insomma, nell'ex paradiso comunista, per gli omosessuali è il solito, vecchio calvario. Non che fosse diverso anche qui da noi, al tempo del vecchio Pci, per dire, e di un signore che si chiamava Pier Paolo Pasolini, a lungo snobbato, quando non insolentito dal vecchio Politburo de noantri fatto dagli Ingrao, dai Pajetta e dagli Amendola. Perché anche da noi, in Italia, c'era una volta una cosa, un sentimento, che si chiamava «comune senso del pudore». Argomento che andò per la maggiore, in una stagione fra i Sessanta e i Settanta, con dure battaglie anche giuridiche su quel che era consentito, in tema di sesso e di ostentazione della sessualità, propria e altrui, e ciò che invece andava contro quella che urtava la morale corrente, «comune», appunto, alla stragrande maggioranza dei cittadini. Finchè, nell'era dell'edonismo a gogò e dello Sbraco Totale, e poi dell'orgoglio omosessuale, come se fosse addirittura meglio essere così che cosà, si passò all'eccesso opposto; e la cosa finì in ridere; e tutti i parrucconi e le zitelle inacidite (insieme con una maggioranza silenziosa di persone perbene) pronti ad emettere lunghi barriti anche solo di fronte a un culo nudo al cinema dovettero ripiegare in rotta disordinata risalendo la valle dei Sepolcri Imbiancati e degli Ipocriti Intartufati. A Mosca e dintorni, invece, da questo punto di vista il tempo non sembra passato.
L'omofobia ha radici antiche, in Russia, se è vero che Ciaikovski, il grande compositore, si uccise in conformità con la sentenza di un giurì d'onore, composto da alcuni suoi ex compagni di scuola, per prevenire un'incriminazione contro di lui per omosessualità di fronte allo Zar in persona. Ma fu il Pcus, e quell'ipocrita moralismo comunista che sapeva di sacrestia che dal Cremlino promanava, a dare pollice verso a tutto ciò che sapeva di omosessualità. Da allora, nulla è cambiato. A Mosca, e nell'universo che fino a poche decine d'anni fa, a quella morale e a quella musica si adeguava, per amore e per forza. Come in Romania, dove ai tempi di Ceausescu c'era il carcere, per i gay. O in Moldavia, dove quest'estate è stata approvata una legge simile a quella della Russia, che vieta «la diffusione di informazioni pubbliche destinate alla propagazione della prostituzione, della pedofilia, della pornografia e di qualsiasi altra relazione che non sia il matrimonio o la famiglia».
Idem in Ucraina, mentre in Bielorussia, Paese in cui il presidente Lukascenko ha di recente affermato che è meglio essere etichettato come dittatore che omosessuale, si vocifera la possibilità di introdurre il reato di sodomia nel codice penale. L'esempio, per tutti, è lui, zar Putin. E lui sapete come la pensa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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