Dunque non era scappato. Niente Bani Walid, o Algeria, o Mali, o nascondigli fra i cammelli dei Tuareg, gli «uomini blu». Dunque tra una raffica di mitra più che sicura, e un esilio dorato, sui bordi di una piscina colma di dobloni, il vecchio raìs ha preferito la raffica di mitra. Era un pluriomicida, il colonnello Muammar Gheddafi. Un uomo violento e vendicativo, un tiranno sanguinario.
Ma è morto combattendo, come aveva giurato; da soldato, con la pistola in pugno, e nessuno, se non altro, potrà dire che è stato un vigliacco. Nove mesi era durata la fuga di Saddam Hussein, culminata nel dicembre del 2003. Otto mesi quella di Gheddafi. Il primo lo presero in una buca a Tikrit, la sua città natale. Gheddafi, e anche in questo la suprema ironia della sorte ha voluto accomunare i due dittatori, era anch’egli in una buca non lontano da Sirte, la città dove nacque una settantina d’anni fa. Più che una buca, un tunnel, un condotto - di due, affiancati - in cemento precompresso, che corrono sotto il terrapieno di una strada. Due canali di scolo, sembrano. Non proprio esaltante, e neppure romantica, come ultima ridotta.Davanti all’imboccatura di uno dei due tunnel c’è ancora il corpo senza vita di un ragazzo, uno dei lealisti che fino all’ultimo si sono battuti al fianco del raìs. Avrà avuto una ventina d’anni. Più o meno la stessa età di Mohamed el Bibi. Dicono che sia stato lui, in questa ultima battaglia fra ragazzi, a tirare il colpo di grazia sotto l’orecchio destro di Gheddafi, dopo che era stato stanato dal tunnel. E ora eccolo qui, davanti alle macchine fotografiche e agli operatori di Al Jazeera, mentre si pavoneggia impugnando la semiautomatica placcata d’oro strappata dalle mani del raìs.
La faccia da ragazzino, i capelli lunghi, il cappellino con la scritta NY e una felpa azzurra con un grande cuore rosso trafitto da una freccia, Mohamed el Bibi vive la sua giornata da eroe. No, non sembra un assassino.Lui,Gheddafi,è una maschera di sangue. Una serie di immagini concitate lo mostrano, ormai morto, il volto e il torace imbrattati di sangue, in balia di una canea ululante ebbra di gioia crudele che lo strattona, lo trascina nella polvere, gli strappa la maglia inzuppata di sangue. Che proprio a Sirte si potesse consumare l’ultimo atto della tragedia libica si era capito ieri mattina, quando un caccia della Nato («erano i nostri aerei», trilla festoso da Parigi il ministro della Difesa Longuet. E poi gli Usa, in serata: «Anche un nostro drone ha bombardato ») aveva bersagliato un convoglio che aveva forzato la cintura d’assedio dell’ultima roccaforte lealista. Le auto sotto attacco si sparpagliano. Sulla terza c’è il raìs. «È da questa - dice il ministro francese - che i combattenti hanno estratto il colonnello». Ma c’è un’altra versione, più verosimile. Gheddafi è ferito alle gambe. I suoi lo sorreggono. In cinque o sei si lasciano scivolare lungo il terrapieno. Alla base vedono le due imboccature, ed è qui che Gheddafi e il drappello di fedelissimi trovano riparo. Ma non c’è neppure il tempo di organizzare una difesa. I ribelli li hanno localizzati, accorrono in forze, comincia l’ultima battaglia.
È ancora vivo, Gheddafi, quando le pistole e i mitra cessano di sparare? Secondo Al Jazeera, sì. È ferito alle gambe, però vivo. Ma la versione ufficiale, che sorvola su dettagli forse non eroici, forse non lusinghieri per i protagonisti di quest’« ultima raffica» nel deserto libico, dice solo che Ghedddafi «è stato ucciso in un attacco da parte dei combattenti». Stop. E sorvola su quel colpo di pistola in pieno volto e sulle ferite all’addome che verranno certificate dai medici che visiteranno il cadavere del raìs, a Misurata. Durante l’attacco muore il capo delle Forze armate lealiste Abu Bakr Younes Jaber, mentre un figlio di Gheddafi, Mutassim, e il capo dei servizi segreti libici, Abdallah Senoussi, vengono dati per catturati o, a seconda delle fonti, per morti. Morti come Saif al-Islam, figlio prediletto del raìs, che cercava anche lui di spezzare il cerchio dell’assedio.
In manette una fila di gerarchi, mentre il Cnt chiede ora all’Algeria la consegna dei familiari (la moglie e tre figli) di Gheddafi che si erano
rifugiati nel Paese. Finisce così, in modo perfino banale e prevedibile, tra la confusione e le ricostruzioni encomiastiche e patriottiche dei vincitori una tragedia lungamente annunciata. Sipario per il colonnello.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.