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Pakistan nel sangue Vince l'islamico che odia l'America

Raffica di attentati, 39 morti. Trionfa l'ex premier Sharif: era l'unico a non essere nella lista nera dei talebani

Pakistan nel sangue Vince l'islamico che odia l'America

Alla fine Nawaz Sharif ha lavato l'antica onta e s'è aggiudicato il sospirato gran ritorno. Una vendetta annunciata quella dell'ex premier estromesso nel 1999 dal un colpo di stato militare. Ma anche una vendetta gustata fredda. E per questo assai appagante. Ieri notte mentre il vincitore festeggiava il proprio trionfo elettorale e il partito di Ismran Khan, l'ex campione di cricket unico suo avversario credibile, ne riconosceva la vittoria, Pervez Musharraf - il generale responsabile del golpe ordito contro Sharif 14 anni fa - inghiottiva rabbia nell'appartamento in cui si trova relegato agli arresti domiciliari. Nel trionfo di Sharif, nella rabbia del Musharraf prigioniero, nella rassegnata riconoscenza della sconfitta di Khan e nella scontata “debacle” del Ppp, il partito della famiglia Bhutto trascinato nel baratro dal presidente Alì Zardari, è scritto l'incerto futuro del Pakistan. Un futuro nel segno di quell'intransigenza islamista ed anti americana che rappresenta uno dei tratti caratteristici della Lega Musulmana, il partito guidato alla vittoria dall'ex premier. Ma proprio quella spiccata connotazione islamista ed anti americana rischia di rendere tutto assai difficile e periglioso. Anche perché la resurrezione di Nawaz Sharif non avviene in paradiso, ma in un paese trasformato in un autentico girone infernale alla mercé dei gruppi integralisti. Primi fra tutti i talebani protagonisti indiscussi degli attentati e degli scontri costati ieri la vita ieri a una quarantina di persone colpevoli soltanto di aver tentato di raggiungere i seggi.

Certo da quel lato Sharif, unico candidato escluso dalle liste nere in cui i terroristi integralisti inseriscono i possibili obbiettivi, ha assai poco da temer. Ma deve guardarsi da altri pericoli. Il più insidioso, in quanto capace d'aggravare a catena tutti gli altri, è quello economico. Il paese ereditato dalle mani dello sconfitto Ppp, il partito che fu di Benazir Bhutto, è di fatto una nazione sull'orlo della bancarotta. L'unico strumento in grado d'impedirne il fallimento è un nuovo prestito di 5 miliardi di dollari dopo quello da 7,6 miliardi ottenuto nel 2008. Ma di fronte all'intransigenza politica di Sharif e dei suoi il Fondo Monetario Internazionale potrebbe anche decidere di far un passo indietro e non fornire garanzie. A quel punto Sharif rischierebbe di ritrovarsi ancora una volta in compagnia dei soli amici sauditi. Così andò nel 1999. Così potrebbe tornar ad andare adesso. Soprattutto se il computo finale dei voti gli impedirà di superare la soglia dei 172 seggi indispensabile per il controllo del parlamento.

La fragilità politica del suo esecutivo unito alla violenza di un movimento talebano contro il quale ben difficilmente potrà schierarsi per non perdere l'appoggio del proprio elettorato, rischia di rendere evanescente e caduco anche il nuovo mandato di Sharif. Anche perché un Pakistan debole e ingovernabile rappresenta un bel grattacapo non solo per i generali, ma per tutta la comunità internazionale. Un governo incapace di soddisfare i bisogni della popolazione e incapace di contrapporsi ai movimenti integralisti finirebbe con il mettere a rischio anche la sicurezza delle testate nucleari custodite in basi sempre più prossime alle sempre più vaste zone d'influenza talebana.

E poiché la sicurezza delle oltre 100 testate nucleari custodite negli arsenali di Islamabad è una linea rossa che nessuno al mondo, primo fra tutti l'America, vuole veder calpestata, i militari si ritroverebbero tra le mani un ottimo pretesto per intervenire e rimettere da parte il vecchio nemico.

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