«Nessuno può fermare la nostra marcia, siamo una nazione fragile e io agisco per amore di Dio e del Paese». Si libra sulle sabbie dell'Egitto faraonico la voce del nuovo capo, un Mubarak all'ennesima potenza perché investito del potere religioso che gli dà l'aver vinto le elezioni in nome dei Fratelli Musulmani. Appena Hillary Clinton è tornata a Washington, Mohammed Morsi si è avvolto in un manto di poteri assoluti simili a quelli del precedente dittatore, e la piazza gli si è rivoltata contro, con quindici feriti. Ma per ora non sono scontri decisivi, le manifestazioni al Cairo, a Alessandria e Port Said sono l'ombra del ruggito della rivolta araba. La gente è stanca, suonano ovvie e sdentate, al momento, le proteste di El Baradei che accusa Morsi di essere il nuovo Mubarak; anche un personaggio duro come Amr Moussa non morde, semmai fanno più effetto le dimissioni del direttore di Al Tahrir Ibrahim Issa e del consigliere copto di Morsi, Samer Marqous.
Morsi ha fatto la grande mossa di proibire lo scioglimento dell'assemblea costituzionale e del Parlamento, zeppa di islamisti, qualsiasi legge antidonna e antiomosessuali e anticristiana decreti, e quella di stabilire che le decisioni prese da lui non possono essere oggetto di appello presso nessuna corte, ciò che lo mette su una vetta intoccabile, ieratico e solo come un faraone.
Ma è solo davvero Morsi? Non si può dire che lo sia, dato il corteggio di lodi internazionali da quando gli Usa lo hanno nominato Grande Mediatore Moderato fra il mondo islamista e quello occidentale. La qualifica se l'è conquistata convincendo i suoi confratelli musulmani (anche Hamas, organizzazione terrorista, è affiliata alla sua stessa organizzazione) di Gaza a cessare dal lancio di missili che ha provocato la guerra di otto giorni fra palestinesi e Israele. L'accordo mediato da Morsi parla soprattuto di cessate il fuoco: tutto il resto sono comma trascurabili, perché è del tutto evidente che le armi iraniane seguiteranno ad affluire dal Sinai nelle mani dei dominatori di Gaza. E gli attacchi torneranno. Ma il cessate il fuoco che Obama ha perseguito con forza disegna una strategia che non mette il conflitto israelo-palestinese al centro. Egli ha bisogno di Morsi per altri scopi. Il fatto però è che questa scelta strategica comporta l'ironico caso che gli Usa si ritrovano adesso fra le mani come alleato un nuovo dittatore, forse peggiore di Mubarak. Ma si trattava di una strada obbligata: per gli Usa il problema attuale, quello che secondo le analisi del Pentagono può fare esplodere il mondo, è quello siriano, ed è per questo che il Dipartimento di Stato facendo leva sul bisogno dell'Egitto di urgenti aiuti economici, cerca di costruire un'alleanza sunnita anti Assad, alawita con indispensabili legami sciiti, legato a filo doppio all'Iran, come i pericolosi Hezbollah che tengono in ostaggio il Libano. Nel fronte disegnato dagli americani di sono anche la Turchia, l'Arabia Saudita, gli Emirati, la Giordania... Ma di nuovo Obama sottovaluta le spinte endogene al mondo arabo, le sue pulsioni dittatoriali e religiose, la sua incapacità di mantenere salda una prospettiva internazionale di equilibrio in un momento di passaggio come questo. Durante la guerra fra Israele e Hamas, l'Egitto come gli altri Stati dell'alleanza ha usato per i terroristi di Hamas parole di grande affetto, dedicando a Israele commenti di odio razzista (l'ha fatto anche Morsi) e proclamando, come ha fatto il leader della Fratellanza Musulmana egiziana Mohammed Badei, che la sua organizzazione non riconosce Israele e che la jihad e obbligatoria per i musulmani. Essi, ha detto, aspettano solo il momento giusto per prendere tutti insieme le armi contro l'Occidente.
Questo è lo sfondo, e tutti i sorrisi che vengono dedicati a Morsi ignorano dunque sia la sua vis autoritaria, ormai sotto gli occhi di tutti, e anche il suo astuto disegno di prospettiva, che ci esploderà in mano se non sapremo affrontarlo in tempo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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