In Spagna più emigrazione che immigrazione

Effetto crisi, svolta epocale nel Paese iberico. Le rimesse degli spagnoli dall'estero superano i soldi inviati a casa dagli stranieri

In Spagna più emigrazione che immigrazione

Più soldi in entrata dai lavoratori spagnoli all'estero che in uscita dai residenti stranieri in Spagna. In terra iberica non succedeva da dieci anni, e il sorpasso – arrivato nell'ultimo trimestre, dopo che l'inversione di tendenza ha proceduto inarrestabile dall'inizio della crisi – è il sintomo di un Paese sprofondato a un'era precedente. Prima che la Spagna, ormai libera dal ventennio franchista e galvanizzata dal boom economico tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000, si trasformasse in quel punto di arrivo per giovani, europei e non, alla ricerca di condizioni di lavoro e di vita migliori; prima che Barcellona scalzasse Londra dal podio delle città dove qualunque under 30 abbia sognato almeno una volta nella vita di trasferirsi, prima che diventasse un Paese, per dirla in termini economici, emettitore netto di rimesse dirette.

Adesso la situazione sì è capovolta, al punto che, secondo i dati resi noti dal Banco de España, tra aprile e giugno di quest'anno gli spagnoli impiegati fuori dai confini di casa propria hanno inviato in patria 1591 milioni di euro: è il più grande volume di denaro in arrivo dall'estero mai registrato nella storia. Le uscite dagli immigrati che vivono in Spagna, al contrario, sono pari a 1563 milioni di euro (per capire la portata del fenomeno, basta considerare che nel 2007 furono di 8500 milioni, più del quintuplo delle attuali). Il saldo è negativo, per la prima volta dal 2003. La situazione, osservano gli analisti, è peggiore di quella degli anni '60. Allora si parlava di «migranti», oggi i giovani che vanno via sono definiti expatriados, «espatriati», e la differenza lessicale non è una mera formalità, perché a trasferirsi non sono più i poco istruiti, che vanno in cerca di fortuna con la valigia di cartone, ma manager e professionisti qualificati che il mercato del lavoro costringe a spostarsi altrove. «Delocalizzati» dalle multinazionali.

Da qui nasce l'esodo: secondo l'Ine (l'Istituto nazionale di statistica iberico) 60mila spagnoli hanno lasciato il Paese nel 2012. Quelli residenti all'estero sono, oggi, 1,9 milioni, il 6 per cento in più rispetto a solo un anno prima. Mentre solo 32380 sono ritornati a casa. Anche sotto il profilo dei flussi migratori, quindi, il saldo è negativo. Tra le mete più ambite, ovviamente, c'è la Germania. Nel Paese di Angela Merkel solo nello scorso anno la presenza di spagnoli è cresciuta di 12 punti percentuali: più dei greci, e più del doppio della media dell'Eurozona. Nel frattempo anche molti stranieri lasciano la terra iberica, segno che di lavoro non ce n'è quasi per nessuno: nel 2012 in più di 135mila hanno cambiato residenza, determinando una contrazione della popolazione straniera pari al 2,3 per cento. Dati che confermano le difficoltà di un Paese in cui il numero di disoccupati in età da lavoro ha toccato quota sei milioni, il 27 per cento della popolazione attiva.

Non è un caso se la tradizionale parata per la festa nazionale dell'ispanità, celebrata sabato scorso, si è svolta nel segno dell'austerity: durata ridotta (anche a causa dell'assenza di Re Juan Carlos, convalescente da un intervento) e costi tagliati di un terzo.
twitter @giulianadevivo

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