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Svezia, liberato il serial killer "mitomane": "Finalmente è finita"

L'uomo si era incolpato di oltre trenta omicidi avvenuti in Svezia dal 1992. Finora è stato internato in un ospedale psichiatrico

Svezia, liberato il serial killer "mitomane": "Finalmente è finita"

Ha dell'incredibile la storia di Sture Begwall, ritenuto da tempo il più pericoloso serial killer nella storia della Svezia. Serial killer, però, del tutto inventato. A quasi 20 anni dalla confessione che gli costò un lunghissimo calvario fra giudici, tribunali e ospedali psichiatrici, Thomas Quick - questo il "nome d'arte" che si era attribuito - torna libero, all'età di 63 anni.

La sua storia inizia nel 1992, quando confessò il primo di trenta terribili omicidi, sanguinose uccisioni dove le vittime venivano torturate, seviziate, fatte a pezzi e divorate. Fu in seguito condannato, però, solo per otto di essi (il primo dei quali risale al 1976) in sei processi che si svolsero tra il 1994 e il 2000. Fu lui stesso - con la confessione - a fornire all'accusa - va detto, senza prove - la formula per la condanna. Dal 1991 in realtà era già rinchiuso nella struttura psichiatrica giudiziaria di Sater, a seguito di una condanna per una rapina nella quale erano coinvolti alcuni ostaggi.

Tutti credevano alla versione del "mostro", nonostante le scarse prove e le deposizioni vacillanti raccolte dal presunto serial killer. Tutti, tranne un uomo: Hannes Rastam, giornalista di una televisione svedese, che capì fin da subito che qualcosa non tornava. Nessun testimone, nessuna prova e quelle poche testimonianze raccolte erano fumose, vacillanti. Così, dopo un processo investigativo durato diversi anni, nel 2008 è finalmente riuscito a smascherare il "mostro".

Dopo sette anni di silenzio, Quick-Begwall ammise di aver inventato tutto, prendendo spunto dalle cronache del tempo e dal film "Il silenzio degli Innocenti", da cui era rimasto profondamente colpito. Begwall non era un serial killer: per qualche strana ragione, decise di attribuirsi la colpa per dei crimini che non aveva commesso, probabilmente al fine di attirare su di sé l'attenzione della cronaca e farsi prescrivere degli psicofarmaci. L'uomo aveva qualche problema mentale: per i giudici, questo bastò a dichiararlo colpevole. "Mi sento benissimo, finalmente è finita", ha confessato ai giornalisti, rivelando la sua intenzione di ritirarsi nel nord della Svezia per scrivere un libro sulla sua storia. Gli psichiatri che lo avevano in cura gli hanno imposto di vedere ugualmente uno specialista, anche se il suo disordine mentale "non è grave al punto da costringerlo a rimanere in una struttura psichiatrica giudiziaria".

Adesso Quick potrebbe chiedere un risarcimento allo Stato per la sua vicenda. Nel frattempo si riaprono le ferite dei parenti delle vittime, i cui killer - quelli veri - da anni girano a piede libero per il Paese. Impuniti.


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