Vergognarsi d’essere ebrei

Da dove viene l’attrazione ebraica per l’auto odio e l’auto suicidio collettivo? Tre appunti sul libro di Meotti

Vergognarsi d’essere ebrei

Per gentile concessione de Il Foglio pubblichiamo l'articolo di Dan Segre, Selbsthass, ovvero vergognarsi d’essere ebrei. Tre appunti sul libro di Meotti, pubblicato ieri.

Da quell’insegnante pensionato che sono, ho l’abitudine di leggere i libri che voglio commentare. Ho così ritardato la recensione del libro di Giulio Meotti, “Ebrei contro Israele” (Belforte, 2014) che ha suscitato forti reazioni di intellettuali ebrei in Italia. Il ritardo ha avuto il vantaggio di permettermi di vedere la meditazione di Papa Francesco sulla lapide che ricorda i nomi degli israeliani – sono circa 2500 – vittime del terrorismo arabo. La frase “Martiri Israeliani del Terrorismo” è anche il titolo di un precedente libro di Meotti. Che io sappia è l’unico scritto da un giornalista non ebreo che abbia ricevuto un premio in Israele, tradotto in tre lingue e che non sembra aver suscitato particolare interesse in Italia, confermando che i silenzi sono alle volte più significativi delle critiche strillate sulle pagine dei giornali.

Ritengo che Meotti, con questo appassionato libro sulle sorti di Israele abbia raccontato delle scomode ma giustificate verità ma commesso tre errori.

Il primo è di aver affastellato personaggi che dal punto di vista del risentimento verso Israele – stato, popolo o governo – non è giustificabile. Il cancelliere austriaco Bruno Kreisky che odiava Israele tanto da creare la “sindrome Kreisky”, così forte da lasciare il fratello girare accattone per Gerusalemme e lo scrittore Amos Oz, ferito di guerra e scrittore nella tradizione letteraria ebraica sionista degli “Amanti di Israele”, non hanno nulla in comune.

Il secondo errore dell’autore è di lasciare l’impressione che gli ebrei contro Israele siano qualcosa di moderno, parte di un neo antisemitismo in casa di sinistra. Non spiega al lettore il fenomeno curioso dell’odio ebraico di sé (si è mai sentito un antigollista francese odiare se stesso e la sua stirpe come un ebreo di nome Marx nipote di un rabbino, autore di un classico testo in cui sostiene il bisogno di ripulire la società dagli ebrei adoratori del dio denaro (“La questione ebraica”). Un francese sa di poter cessare di essere francese a tutti gli effetti diventando tibetano; un ebreo non può cambiare il fatto di essere nato da una ebrea. Fatto che fa imbestialire chi si vergogna di essere ebreo e se ne vendica dal tempo dell’Inquisizione a quello del comunismo, specie in Urss, diventando attivo nemico degli ebrei e dell’ebraismo (si legga lo splendido libro di Yuri Slezkine, “Il Secolo Ebraico”). Il fenomeno è così unico che il sociologo Theodor Lessing inventò un termine scientifico per il lessico tedesco, Selbsthass, odio di sé. Era così irritante per Hitler che voleva che l’odio per l’ebreo fosse al cento per cento ariano, da farlo assassinare.

Il terzo errore di Meotti è quello di non ricordare la denuncia storica dei Saggi del Talmud per la responsabilità dell’odio ebraico per sé e per i propri confratelli nella doppia distruzione del Tempio di Gerusalemme (per mano assira e romana) e della sovranità ebraica. A chi ne fosse interessato consiglierei di leggere il testo della quarta lezione tenuta da Elie Wiesel alla Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna, “Sei Riflessioni sul Talmud” (Bompiani, 2000).

Da dove viene l’attrazione ebraica per l’auto odio e l’auto suicidio collettivo? Per quale motivo “l’industria della Shoah” è così poco interessata a questo odio quando in termini di proiezione statistica e di fertilità, la presenza potenziale ebraica attuale negli Stati Uniti potrebbe essere attorno a 40 milioni mentre è ridotta a 5 con una perdita annuale percentuale elevata? In America, dove gli ebrei godono di pieni diritti e non ci sono state persecuzioni, aumenta la passione per la propria cancellazione identitaria attraverso l’assimilazione, confermando l’idea di Sartre che a dare all’ebreo il senso – positivo o negativo – della propria identità siano gli altri.

Penso che il rifiuto ebraico di sé sia legato alla “scelta” divina di Israele e all’obbligo di essere “un popolo di sacerdoti e una nazione santa” (Esodo, 18,6-7). In altre parole una nobiltà. Louis Finkelstein, grande studioso moderno dell’ebraismo, dice: “Noi ebrei non abbiamo un’aristocrazia. Il nostro aristocratico è lo studioso”. Il che potrebbe forse spiegare l’elevata percentuale ebraica fra i premi Nobel (che con qualche eccezione sono degli analfabeti in fatto di ebraismo) e poco curanti del loro ruolo di portatori di nobiltà.

Gli ebrei della diaspora ma anche in Israele preferiscono essere amati piuttosto che rispettati, perché “noblesse oblige”, la nobiltà obbliga. Una nobiltà che la Rivoluzione francese ha messo sullo sstesso piano con libertà, uguaglianza e fraternità. Un falso storico che rende difficile l’espansione della democrazia e il radicamento dei diritti umani in quanto i due primi concetti (libertà e uguaglianza) sono diritti sacrosanti mentre la fraternità è un dovere, patrimonio specifico della nobiltà.

La nobiltà è un valore che non sente il bisogno di riconoscimenti. Ha solo bisogno di dare. Il che è, fra l’altro l’essenza della Scienza della Kabalah. Suscita invidia (bisogno di abbassare chi sta più in alto) e gelosia (desiderio di prendere il posto altrui).

Non per nulla l’antisemitismo, erroneamente attribuito alla chiesa quando come termine e ideologia politica non esisteva ancora (nacque a Vienna

nel 1876), viene spesso confuso con la giudeofobia cristiana e islamica, proprio a causa della difficoltà della chiesa di trasformarsi in “Verus Israel” e della moschea in portatrice unica e definitiva della parola divina.

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