Voglia di protezionismo nel Paese della libertà

I taxi di Uber, le super auto di Tesla, la rete di bed and breakfast: grazie al web nascono nuovi servizi. E i sindaci negli Usa creano regole per proteggere i vecchi

Voglia di protezionismo nel Paese della libertà

New York - Centinaia di taxi in fila, nel centro della città, in protesta contro l'applicazione Uber, servizio di berline a noleggio attraverso lo smartphone. No, non è un'immagine in arrivo da Milano, giovedì scorso. I tassisti di Los Angeles hanno manifestato a giugno di fronte al municipio della città californiana, usando i loro clacson come strumento di dissenso. L'oggetto delle loro lamentele sono ancora oggi «i banditi high-tech». Così la categoria ha ribattezzato tre servizi di trasporto legati a una applicazione e in crescita tra i cittadini di Los Angeles: Uber, Sidecar e Lyft. La municipalità ha pubblicato allora una lettera con l'ordine alle tre società di bloccare le attività. «Quando la tecnologia inizia a farsi strada nella vita cittadina, questi sono i crescenti tormenti che si incontrano», ha detto l'amministratore delegato di Uber, Travis Kalanick, che non ha fermato le operazioni della compagnia a Los Angeles. L'ordine della municipalità non è poi stato implementato, il Dipartimento del Trasporto locale ha fatto un passo indietro e il sindaco di LA Eric Garcetti ha detto che i tassisti tradizionali devono «adattarsi». Più a Nord, a San Francisco, le regolamentazioni sono state invece applicate e le nuove compagnie sono obbligate a fornire alle autorità prove della formazione degli autisti e garanzie della loro immacolata fedina penale.

Nell'America allergica a qualsiasi ruolo troppo invasivo delle autorità locali e federali, l'espansione di nuove realtà economiche e start-up tecnologiche solleva velleità di protezionismo. In un'analisi dai toni fortemente critici su Time, Nick Gillespie - direttore del sito Reason.com e coautore di The Declaration of Independents: How Libertarian Politics can Fix What's Wrong with America - racconta come, accanto a Uber, anche l'auto elettrica della Tesla e il sito di affitti a corto periodo Airbnb stiano subendo le ire della concorrenza. «I veri perdenti non sono soltanto la nuova generazione di innovatori - scrive - ma anche i clienti che perdono più modi di ottenere quello di cui hanno bisogno».
Turisti e viaggiatori di ogni sorta possono trovare su Airbnb.com un letto in una villa con piscina sulla Costa Azzurra a centinaia di dollari, ma anche ospitalità su un divano a 10 dollari a notte. Il sito di affitti, che funziona in 192 Paesi, ha 45mila voci in America: l'1% del business alberghiero degli Stati Uniti. Eppure, a Austin, Texas, la municipalità ha imposto a chi mette la propria abitazione su Airbnb ispezioni, il pagamento di un permesso di 285 dollari per ospitare clienti oltre alle tasse locali. A Portland, Oregon, possono essere messi su Airbnb soltanto spazi che non si trovano nei quartieri residenziali. A New York, gli inquilini devono essere in casa nel periodo di soggiorno del cliente e l'anno scorso un abitante dell'East Village in violazione della norma ha ricevuto una multa di 40mila dollari, ridotta dal giudice a 2.400.

Anche il produttore di automobili elettriche Tesla in questi mesi lotta contro nuove restrizioni. Il modello più economico costa 70mila dollari ed è venduto direttamente al cliente dall'azienda, in showroom disegnati sullo stesso concetto dei negozi della Apple. I prezzi sono fissi e non c'è spazio per la negoziazione. Da qui, la rivolta dei rivenditori. In New Jersey a marzo è passata una norma che vieta la vendita di macchine dalle compagnie automobilistiche al cliente, come accade già in Arizona, Texas e Colorado.

Con il suo piano di vendite, ricorda Forbes, Tesla non fa nulla di illegale - secondo la legge americana le aziende automobilistiche possono controllare i prezzi dei propri prodotti del rivenditore - ma sceglie di prediligere un volume di vendite minori in favore di un guadagno dal punto di vista della reputazione del brand.

Twitter: @rollascolari

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