Eterne rivali

L’avrà presa malissimo, Tina Brown, la notizia dell’acquisto di The Huffington Post per il quale il provider Aol ha messo sul piatto la bellezza di 315 milioni di dollari. Arianna Huffington è da anni sua acerrima rivale, l’avversaria da sconfiggere senza se e senza ma. E ora, dopo che appena tre mesi fa, lei, l’ex direttrice di Vanity Fair e del New Yorker, aveva annunciato trionfante la fusione del suo sito Daily Beast con il leggendario settimanale Newsweek, la Huffington ha risposto posizionando il suo superblog, forse il più influente al mondo, sulla piattaforma di America online. Una replica tosta da assorbire. La guerra tra le due primedonne dell’editoria democratica yankee è destinata a salire ancora di tono. Una guerra tutta femminile (ci sarebbero pure Oprah Winfrey e Anne Wintour a completare il poker) per il primato dei nuovi media. Una guerra che macina sinergie tecnologiche e joint venture economiche, che si combatte con ingaggi di super opinionisti, che mette in palio il ruolo di voce più ascoltata alla Casa Bianca. Una guerra, anche, che riguarda il futuro dei media, l’autorevolezza del web, l’integrazione tra informazione online e quella su carta, la possibilità che siano i siti d’autore a rivitalizzare testate in crisi come Newsweek (20 milioni di dollari di deficit nel 2009) o provider in difficoltà come Aol (2500 dipendenti tagliati nel 2010).
La competizione tra Arianna e Tina appassiona lettori, navigatori, bloggers, addetti dei media non solo americani. La sessantenne Arianna Stassinopoulos è partita da Atene e si è laureata a Cambridge, prima di volare negli States. Lì è diventata columnist tra le più influenti, ha scritto una dozzina di libri alcuni dei quali in odore di plagio, ha sposato il milionario repubblicano Huffington dal quale ha avuto due figlie, ha divorziato appena saputo che era bisex, ha mantenuto il cognome del marito, nel 2005 ha fondato il suo sito mettendo in rete i link degli articoli preferiti, ha coinvolto la madre come titolare di una rubrica di quesiti domestici, si è pronunciata in favore di Obama durante le presidenziali, ha dato lavoro a duecento persone e ora si avvale della collaborazione di seimila bloggers. Al grande storico Arthur Schlesinger che recalcitrava a collaborare accampando il fatto di usare «solo la macchina per scrivere» ha risposto «allora mi mandi un fax». Informazione, news locali, inchieste, interventi sulla politica di Obama, pettegolezzi: mentre a fine 2010 la rivista Forbes la classifica al 28° posto tra le donne più potenti del mondo (Madonna è 29ª), con circa 25 milioni di visitatori al mese (ora dovrebbero diventare 100 milioni), Huffington Post ha prodotto un utile stimato in 60 milioni di dollari.
Tina è inglese, più giovane di tre anni, laureata a Oxford. Appena 25enne ha diretto la rivista Tatler, ha sposato un ex direttore del Times, si è trasferita a New York dove ha preso la moribonda Vanity Fair per trasformarla nella Bibbia del giornalismo glam, ha respinto un racconto del Nobel Isaac B. Singer con un post-it («rimpolpare Singer»), si è spostata al prestigioso New Yorker per sei anni, ha inanellato una serie di premi giornalistici e qualche clamoroso infortunio come la rivista Talk. Flop dal quale si è risollevata creando Daily Beast (5 milioni di visitatori mensili) che, con Newsweek, ha appunto dato vita alla The Daily Beast Newsweek Company nella quale lei ha assunto il ruolo di super-direttora.
Arianna e Tina combattono nello stesso campo. Si contendono l’intellighenzia liberal, la benevolenza di Obama e l’ambizione di condizionarne la politica, il primato come personalità più innovatrice nei new media.

Arianna propugna il riscatto del ceto medio un po’ trascurato dal presidente, si preoccupa della qualità della vita, dei problemi quotidiani, appoggia la campagna della first lady contro l’obesità infantile, ne promuove un’altra per il sonno. Tina è più attenta alle élite, alle lobby di Hollywood, al mondo dello spettacolo e dell’editoria. Per numeri, forza d’urto e autorevolezza, è in vantaggio Arianna. Ma tutto fa pensare che sarà una guerra di durata.

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